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Lesbiche che scelgono la maternità: influenza delle minoranze e nuove tecnologie riproduttive.
Lesbians choosing motherhood: Minority influence and the new reproductive technologies.
Chiara Monti Adriano Zamperini
Sommario
Il termine “nuove tecnologie riproduttive” è emerso nella metà degli anni Ottanta per descrivere l’insieme degli sviluppi clinici e scientifici in grado di aiutare uomini e donne con problemi di fertilità, affinché gli stessi potessero diventare genitori. Qui l’attenzione sarà riposta sul dibattito pubblico riguardante l’uso di queste tecnologie da parte di lesbiche, assumendo una prospettiva di analisi psicosociale.Abstract
The term “new reproductive technologies” emerged in the mid-1980s to describe a range of clinical and scientific developments to help men and women with fertility problems to become parents. We will pay particular attention to public discussion concerning the use of this technologies by lesbians from a psychosocial perspective.Parole chiave: influenza delle minoranze, nuove tecnologie riproduttive, lesbiche
Key-words: minority influence, new reproductive technologies, lesbians
La messa al mondo di un figlio è sempre stata considerata l’esito di un rapporto sessuale, quale unica condizione necessaria per la procreazione. Ma il progresso scientifico ha aperto nuove strade, costantemente in bilico tra le categorie del naturale e dell’artificiale. Rendendo sempre più precarie tali distinzioni. È in questo mutato orizzonte che si colloca la storia di Karine ed Elodie, due lesbiche francesi entrambe madri. Una coppia lesbica che ha procreato con l’esclusivo ausilio della tecnica, per mezzo di un’inseminazione artificiale. Le due donne hanno ricevuto lo sperma da un unico donatore anonimo e i loro bambini, dunque, saranno fratelli biologici a tutti gli effetti. Però la singolarità – rispetto all’immagine tradizionale di famiglia – di questa vicenda non si arresta qui. Infatti, suscitando pubblico scandalo, Karine ed Elodie non si sono accontentate di essere riconosciute come madri, ma hanno intrapreso una battaglia legale affinché a entrambe siano riconosciuti anche i diritti di padre nei confronti del figlio della propria compagna. Pur con la consapevolezza dell’impossibilità, nel presente, di ottenere ciò che ritengono giusto per la propria famiglia, una simile lotta mostra, sino alle estreme conseguenze, i ritardi della legislazione rispetto alle trasformazioni antropologiche dei legami umani. Quindi, costringendo un ripensamento – o ad affrontarne la messa in discussione – degli assetti socio-normativi con cui le società occidentali hanno pensato la convivenza di coppia e familiare. Allora, l’incontro tra sviluppo della tecnica e attori sociali dischiude nuovi scenari, solcati da dinamiche di conservazione e cambiamento. Ed è proprio dentro questi inediti spazi conflittuali che si intende gettare uno sguardo, assistiti dagli strumenti d’analisi della psicologia sociale.
1. Donne lesbiche come minoranza attiva
Con alle spalle una lunga tradizione che la voleva un’aberrazione della sessualità “sana”, l’omosessualità è stata iscritta fino al 1973 nell’elenco delle psicopatologie dall’Organizzazione Mondiale della Sanità e considerata dunque al pari di una anomalia psichica, per cui sono state ipotizzate e ricercate cause sia psicologiche che genetiche. Se ora si consulta l’ultima edizione del Manuale statistico e diagnostico dei disturbi mentali, o un qualsiasi vocabolario di recente pubblicazione, appare subito evidente che l’omosessualità non è più quella di una volta. La ricerca deviante di un partner del proprio sesso, il rifiuto di una famiglia composta da un uomo e una donna – un tempo considerate espressioni di un malessere soggettivo – al giorno d’oggi sono fenomeni visti come scelte consapevoli di vita. Pur essendo ancora presenti residui culturali e scientifici ancorati a una visione di sessualità distorta, è indiscutibile che la rappresentazione sociale contemporanea dell’omosessualità sia cambiata. E grazie soprattutto alle azioni intraprese dagli stessi omosessuali. Ribellandosi all’etichetta di malati e/o devianti, hanno condotto lunghe battaglie pubbliche, manifestando contro le discriminazioni subite. Così facendo, omosessuali e lesbiche sono usciti dal registro della devianza, opponendosi alle parole definitorie dell’orientamento normativo maggioritario, per divenire minoranza attiva in grado di generare la propria condizione nomica, apportando un cambiamento sociale.
Simili dinamiche trasformative costituiscono il nucleo della teorizzazione psicosociale in merito al potere di influenzamento delle minoranze, aprendo alla consapevolezza sulla natura dei rapporti conflittuali esistenti tra diverse e contrapposte entità sociali. Infatti, pur non potendo contare su nessuna forma di autorevolezza e legittimità collettiva, una minoranza di persone non subisce passivamente valori e principi della restante parte della società: al contrario, essa stessa è in grado di far sentire la propria voce e di proporre alternative originali alla visione tradizionale della maggioranza (Moscovici, 1976).
Nel corso degli anni, all’interno del più ampio contenitore dell’omofilia, anche il lesbismo ha ottenuto un proprio posto nel panorama societario. Sebbene la dimensione femminile dell’omosessualità tenda a essere meno conosciuta, esistono in realtà molte pubblicazioni e associazioni, nazionali e internazionali, sorte con il dichiarato obiettivo di dare visibilità alla cultura lesbica. Sulla copertina del libro Cocktail d’amore. 700 e più modi di essere lesbica così scrivono le esponenti del Gruppo Soggettività Lesbica (2005): “Se ancora oggi è necessario rivendicare con orgoglio e passione l’essere lesbiche, il nostro impegno, i nostri pensieri e il nostro desiderio sono rivolti alla costruzione di un mondo in cui chiunque sia portatore di una diversità possa abitare senza menzogna e paura”. Dopo aver percorso un lungo iter sociale, le cui tappe principali sono state la patologia, il disvalore, lo stigma, le donne lesbiche oggi raccontano la propria omosessualità con orgoglio. Le donne che amano le donne non vivono più la propria condizione con vergogna ma, al contrario, esprimono la necessità che si guardi a essa come a una dimensione di valore.
Per conquistare questo mutamento di immagine sociale, le donne lesbiche portano avanti da anni la rivendicazione di alcuni diritti. È attraverso tale processo, infatti, che ci si mostra alla comunità come agenti di cambiamento, poiché “le condizioni necessarie per esercitare un’influenza rimangono immutate: occorre esistere ed essere attivo.” (Moscovici, 1979, p. 110).
Tra le altre rivendicazioni, quella del diritto alla maternità è oggetto di una delle più accese e controverse battaglie del lesbismo; in particolar modo l’interesse riguarda la possibilità di accedere all’uso delle nuove tecniche di riproduzione umana. A differenza di Paesi quali la Svezia, l’Olanda, la Danimarca, la Spagna, dove le relazioni affettive degli omosessuali godono di un riconoscimento legale al pari di quelle dei concittadini eterosessuali, in Italia la maternità lesbica solleva ancora istanze di chiusura e opposizione. I limiti maggiori sorgono prevalentemente sul piano giuridico: con la recente approvazione della legge 40 “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita”, l’accesso all’inseminazione artificiale da parte di donne lesbiche è infatti esplicitamente proibito. Una normativa che trova ampio consenso nella pubblica opinione, la quale sembra condannare nettamente la richiesta di genitorialità omosessuale (in tal senso, si può ricordare l’esito negativo del referendum abrogativo della Legge 40, svoltosi nel mese di Giugno 2005).2. Conflitti pluridiscorsivi intorno al nascere con la tecnica
L’inseminazione artificiale è una tecnica riproduttiva che permette la procreazione per mezzo della fusione di un gamete maschile e di uno femminile, senza che vi sia necessariamente un rapporto sessuale tra un uomo e una donna. Tale tecnica, nelle sue numerose varianti, nasce inizialmente quale strumento per far fronte a una patologia riguardante l’impossibilità o l’incapacità della coppia di mettere al mondo un bambino. Ma ben presto il suo utilizzo crea nella pubblica opinione un’accesa diatriba sull’opportunità di una legge che ne regolamenti l’utilizzo.
Infatti, già nell’anno 1985, in Italia arriva il primo provvedimento giuridico che permette il ricorso esclusivamente all’inseminazione artificiale omologa, ovvero per mezzo di gameti appartenenti alla coppia e non provenienti da donatori estranei a essa. Sebbene il Servizio Sanitario Nazionale sia così regolamentato, il servizio privato diviene luogo cui rivolersi per usufruire della tecnica senza particolari limiti o divieti. Nel nostro Paese l’anno 1988 rappresenta un punto di svolta: per la prima volta, una coppia lesbica milanese ricorre alla procreazione assistita. A distanza di sei anni dal primo caso, a Savona un’altra coppia di donne mette al mondo un bambino per mezzo dell’inseminazione artificiale. In seguito a questi avvenimenti, sono sempre più frequenti proposte di legge volte a regolamentare – leggasi limitare – l’accesso alle tecniche riproduttive.
Questi episodi – con i relativi problemi giuridici – non restano certamente circoscritti nel perimetro degli accadimenti interpersonali. Infatti, il movimento lesbico italiano attiva varie iniziative che suscitano sconcerto e dibattito nell’opinione pubblica. La procreazione assistita infatti costituisce un ambito cruciale del confronto/scontro sociale, poiché mette in discussione molti tra i valori costitutivi e fondanti la nostra società.
Da una ricerca incentrata sulla relazione tra scienza e senso comune, e in particolare sulla rappresentazione sociale veicolata dai media rispetto alla procreazione medicalmente assistita, risulta come i discorsi generati in merito a questa nuova tecnologia riproduttiva si configurino intorno ad alcuni nuclei tematici fondamentali: maternità come spettacolo, sfida tecnologica alla naturalità/sacralità della nascita, applicazione delle tecniche come infrazione delle norme etico-sociali, il mercato selvaggio delle nascite (Zamperini, Gius, Collini, 1999). Inoltre, emerge come lo stile comunicativo dominante sia connotato maggiormente in senso allarmistico e scandalistico, con un approccio prevalentemente giudicante, che va ben al di là della semplice diffusione di informazione. Dunque, il ricorso alla scienza per soddisfare bisogni procreativi che si spingono oltre i limiti imposti dalla natura viene in pratica condannato; ma soprattutto appare saliente la grande preoccupazione per la messa in discussione di valori considerati inviolabili.
Ma se da un lato la maggioranza frena la corsa ai cambiamenti offerti dallo sviluppo scientifico, dall’altro, nuove figure sociali emergenti, facenti parte di una ristretta minoranza, sembrano voler portare avanti una battaglia capace di innovare la tradizionale visione del mondo. La maternità lesbica per procreazione medicalmente assistita assume, allora, una forte connotazione conflittuale. E se il conflitto è un codice caratterizzante la contemporaneità, diventa essenziale – per capire le trasformazioni antropologiche in atto – individuare gli spazi dove si consumano tali conflitti. Uno di questi è sicuramente la sfera della comunicazione sociale. Infatti, le moderne democrazie sono luoghi di opinione: grandi “piazze” dove i cittadini – secondo una logica pluridiscorsiva (Billig, 1991) – sviluppano e confrontano punti di vista e peculiari concezioni su ogni sorta di questione. E dopo aver ascoltato la voce della maggioranza – almeno in parte rappresentata dai grandi organi di stampa – sul tema della procreazione assistita, è indispensabile sentire altre voci.3. La ricerca
La presente ricerca – per motivi di spazio qui solo parzialmente illustrata – parte dal presupposto teorico secondo cui il sistema societario non è un dato di fatto, bensì una costruzione sociale cui concorrono sia maggioranza che minoranza, entrambe nel ruolo di fonte e bersaglio di influenza. Nello specifico, si assume che una minoranza sia in grado, al dì là dei rapporti di potere o dipendenza, di apportare cambiamento e innovazione alla società cui appartiene (Moscovici, 1976).
L’indagine si è posta l’obiettivo di analizzare il fenomeno della maternità lesbica per procreazione medicalmente assistita. In particolare, l’attenzione era incentrata sulle modalità con cui le donne lesbiche contribuiscono attivamente alla definizione di tale fenomeno, attraverso la contrattazione comunicativa con la restante parte della società.
Il materiale su cui si articola la ricerca è costituito da n. 15 testi selezionati in base ai seguenti criteri:
- I testi devono essere stati prodotti da donne lesbiche;
- I testi devono raccontare di maternità lesbica per procreazione medicalmente assistita;
- I testi devono raccontare la realtà italiana;
- I testi devono avere un carattere pubblico (comunicazione sociale).
La letteratura sull’argomento è scarsa e riguarda prevalentemente realtà straniere: ciò ha comportato una serie di difficoltà nel reperimento dei testi da analizzare. Ma, dati i recenti trascorsi politici del nostro Paese riguardanti la regolamentazione dell’accesso alle tecniche riproduttive, molte donne lesbiche hanno fatto sentire la propria voce attraverso interviste a giornali, pubblicazioni, appelli e dichiarazioni per mezzo di Internet; i testi dunque provengono da fonti pubbliche, ovvero sono scritti/pronunciati per giungere ai vari cittadini del nostro Paese.
A raccolta ultimata, il materiale testuale analizzato può essere così suddiviso:
- Testi in prima persona: testi che raccontano di esperienze di maternità lesbica per procreazione assistita vissute personalmente;
- Testi in terza persona: testi che raccontano di maternità lesbica per procreazione assistita, prodotti da associazioni lesbiche o da loro rappresentanti sottoforma di appelli, dichiarazioni, interventi pubblici.
Il metodo di ricerca scelto è costituito dall’analisi qualitativa dei testi, il cui presupposto epistemologico assume che il linguaggio abbia un valore costruttivo, ovvero generativo di realtà. Il lavoro si configura, per questo, come un’indagine sui significati veicolati dalle donne lesbiche per mezzo dei loro discorsi; lo strumento utilizzato a tal fine è il software Atlas.ti (Milesi, Catellani, 2002).
Dall’analisi qualitativa delle narrazioni, si osserva come il linguaggio delle singole donne sia connotato in senso sociale, ovvero come, pur nel raccontare esperienze personali di madri o aspiranti tali, le parlanti facciano riferimento alla propria collocazione nella società: l’identità sociale di donne lesbiche appartenenti a una minoranza emerge in ogni discorso. Infatti, insieme alle molte parole spese per mettere in luce le difficoltà pratiche previste per la gestione della maternità lesbica (quali le spiegazioni da dare ai figli, il problema dell’identità paterna), nei vari racconti emerge come anche la singola donna si faccia portatrice di nuove prospettive e valori: ad esempio, viene contemplata la possibilità di realizzare nuove forme di famiglia che non siano più vincolate alla visione tradizionale della maggioranza.
Il senso di appartenenza e la volontà di affermazione dell’entità-gruppo si può osservare altresì dalla prevalenza di alcuni nuclei tematici fondamentali. Nell’affrontare l’argomento della maternità lesbica non manca praticamente mai la denuncia sociale in merito alle discriminazioni subite; in primo luogo, riguardanti la possibilità di autodeterminarsi liberamente come donne, nello specifico di usufruire dei progressi della scienza e di influire, al pari di ogni altra categoria di cittadini, sulla legislazione del nostro Paese.
Sebbene i discorsi generati dalle rappresentanti di associazioni abbiano comunque una connotazione maggiormente politica, entrambe le categorie di testi sono caratterizzate da una prevalenza di linguaggio che ruota attorno alla sfera del diritto, piuttosto che a quella del desiderio. Infatti, nel parlare di maternità lesbica, le donne raramente la definiscono alla stregua di un bisogno o desiderio personale, ma molto più frequentemente essa assume le forme di un diritto, una vera e propria conquista collettiva.
La rivendicazione della possibilità di scegliere liberamente se accedere o meno a una tecnica non avviene perché questa sia considerata come l’unica strada percorribile per diventare madri: la meta finale è un maggiore riconoscimento del lesbismo, che necessariamente passa attraverso una contrattazione e un confronto pubblici. Il piano di una soggettività desiderante sfuma, dunque, nel più ampio orizzonte delle libertà collettive, proprie di un gruppo sociale in grado di definire se stesso e di determinare il proprio posto all’interno della comunità di appartenenza.4. Conclusioni
Di fronte allo sviluppo delle nuove tecniche di riproduzione umana, lo studio della comunicazione sociale risulta importante da molti punti di vista. Infatti, ogni comunità è sempre una comunità linguistica e qualsiasi scambio comunicativo, sul piano interpersonale così come su quello pubblico, contribuisce alla costruzione di un significato che permette di accedere alla conoscenza dei diversi fenomeni collettivi. E nel coro delle molteplici voci che partecipano alla rappresentazione della realtà, il ruolo dei mass-media è fondamentale (Zamperini, Testoni, 2002). Tutto ciò appare ancora più evidente se consideriamo che, nel caso della procreazione assistita, per la maggior parte dei cittadini non si tratta di un fenomeno esperibile in prima persona. Piuttosto, esso viene compreso solo indirettamente, attraverso la comunicazione sociale.
In questa sede, per ovvi motivi di spazio, limiteremo le nostre considerazioni finali – consapevoli altresì che non c’è nulla di “finale” ma piuttosto il farsi e il dischiudersi di problemi aperti – alla contrapposizione di rappresentazioni comunicative tra maggioranza e minoranza in merito alle nuove tecniche di riproduzione umana.
Laddove, nella precedente indagine su una delle voci della maggioranza (i principali settimanali e quotidiani nazionali), i messaggi erano fortemente caratterizzati dal richiamo ai limiti da porre alla tecnica applicata alla nascita, qui, nella comunicazione della minoranza di donne lesbiche, gli sviluppi scientifici diventano condizioni che permettono di rinegoziare la propria identità collettiva. Se la stampa italiana è passata rapidamente da una concezione delle tecniche di fecondazione artificiale come strumenti terapeutici per risolvere problemi organici a una rappresentazione che invece concepisce tali tecniche come strumenti per soddisfare desideri (Zamperini, Collini, 1997), per la minoranza costituita da donne lesbiche queste nuove tecniche non si inscrivono nella logica del desiderio bensì in quella dei diritti. Lo scontro appare allora tra una psicologizzazione di un desiderio femminile narcisista e amorale, per cui serve una severa legge per arginarlo, e una socializzazione di diritti, capace di ridefinire gli assetti normativi tra diversi attori sociali. Nel primo caso, si tenta di rinchiudere i problemi dentro la sfera soggettiva, facendoli scomparire dalla scena collettiva, mentre nel secondo, pur partendo anche da vissuti personali, i problemi vengono gettati nell’arena pubblica delle identità sociali. Compito della ricerca futura analizzare gli esiti di un simile conflitto.
Bibliografia
Billig M. (1991). Ideology and Opinions, Sage, London; tr. it. Ideologia e opinioni, 1995, Laterza, Roma-Bari.
Gruppo Soggettività Lesbica (2005). Cocktail D’Amore. 700 e più modi di essere lesbica, DeriveApprodi, Roma.
Milesi P., Catellani P. (2002).“L’analisi qualitativa di testi con il programma Atlas.ti”, in B. Mazzara B. (a cura di). Metodi di ricerca qualitativi in psicologia sociale, Carocci, Roma.
Moscovici S. (1976). Social Influence and Social Change, Academic Press, London; tr. it. Psicologia delle minoranze attive, 1981, Boringhieri, Torino.
Zamperini, A., Collini M. (1997). “Tra legge e desiderio: la nuova coppia della procreazione assistita nelle rappresentazioni della stampa italiana”, L’Arco di Giano. Rivista di medical humanities, 15, pp. 165-170.
Zamperini A., Gius E, Collini M. (1999), “La scienza in prima pagina. La procreazione assistita nella comunicazione sociale”, Ricerche di Psicologia, 23, 1, pp. 119-142.
Zamperini A., Testoni I. (2002). Psicologia sociale, Einaudi, Torino.