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Il Circolo Metafisico. La nascita del pragmatismo americano
Louis Menand
The Metaphysical Club, Farrar, Straus, and Giroux, New York
pagine 576
25,00 euro
2001, ed. italiana Febbraio 2004
Sansoni, Milano
Che rapporto esiste tra la teoria degli errori e il movimento abolizionista, la codificazione dei principi del common law e la scienza dei segni, l’evoluzionismo di Darwin e lo sciopero Pullman? Il filo conduttore di questo sorprendente saggio di Menand, che per l’originalità degli accostamenti sembra ispirato alla cibernetica di Bateson, sono le vite e le passioni intellettuali di tre studenti d’eccezione nella Boston degli anni Sessanta dell’Ottocento, animatori di un club denominato appunto “Il Circolo metafisico”: il giurista Oliver Wendell Holmes jr, Charles S. Peirce e William James, ai quali va idealmente associato il più giovane John Dewey. Alternando la ricerca biografica a una capillare lettura delle loro opere, Menand si iscrive all’interno della riscoperta della propria tradizione filosofica da parte della cultura americana, inaugurata qualche anno fa dai lavori di Stanley Cavell su Emerson e Thoreau, e racconta con uno stile brillante ma sempre rigoroso la nascita del pragmatismo come “maturo ridimensionamento delle certezze filosofiche” in grado di rimettere in discussione lo stesso rapporto tra parola e azione. Un momento decisivo della nostra storia culturale perché, figlio per parte di padre di Darwin e per parte di madre della Guerra di secessione (a tutti gli effetti la prima guerra moderna, con la sua dura lezione di tolleranza impartita tanto ai vincitori quanto ai vinti), il pragmatismo non ha cambiato soltanto le idee della gente, bensì l’idea che noi ci facciamo delle idee. Sino all’avvento della Guerra fredda la società statunitense si è ispirata a quei principi di tolleranza e di democrazia, e grazie a essi è prosperata; e oggi, in un’epoca di rinnovati integralismi, Menand invita i suoi connazionali a recuperare la carica più vitale di una cultura nata dal conflitto – e tanto più, per questo, portata a valorizzare gli spazi di discussione pacifica. Un invito che riguarda direttamente anche noi europei.
Gabriele Pedullà
Recensione
Ermanno Bencivenga
Il pragmatismo morì con la guerra fredda
L’unica vera filosofia made in Usa, che ebbe i suoi esponenti in Holmes, James, Peirce e Dewey: l’esperienza come verifica della teoria, l’impegno a migliorare la società, in tempi in cui libertà e tolleranza non erano solo sloganGli Stati Uniti possiedono la singolare caratteristica di aver combattuto una guerra civile senza aver subito cambiamenti nella forma di governo». È la frase di apertura di
Il circolo metafisico, di Louis Menand, e su di essa è costruito l'intero libro. Non tanto per quel che la frase dice, ossia che «durante la guerra civile, la Costituzione non venne abbandonata, le elezioni non vennero sospese e non vi fu alcun colpo di stato». Ma per quel che lascia fuori, per quel che la guerra civile invece cambiò radicalmente, mentre lasciava immutata la forma di governo. A molti di coloro che la vissero, la guerra «non sembrò solo un fallimento della democrazia, ma anche un fallimento della cultura, delle idee». Sconvolta dai suoi orribili massacri, una generazione perse ogni fiducia in schemi onnicomprensivi e giudizi morali assoluti; si rese conto che «i motivi per cui abbiamo bisogno di motivi mutano in continuazione» e che «la certezza conduce alla violenza»; si convinse che concetti e teorie non sono altro che strumenti, da valutare non per il presunto accesso che permetterebbero alla verità ma per la loro efficacia. Sulle ceneri delle vecchie fedi religiose e in alternativa ai pallidi epigoni dei pensatori europei che circolavano in precedenza, nasceva così l'unica vera filosofia indigena del Nordamerica: il pragmatismo. Menand è professore d'inglese alla Columbia University e collabora alla rivista The New Yorker; dunque non ci parla di questo movimento intellettuale come farebbe un filosofo, analizzandone origini e fondamenti, portandone alla luce la struttura logica e le conseguenze plausibili o paradossali. Lo fa calandosi nella biografia di quattro uomini che alla filosofia affiancarono almeno un'altra disciplina di riferimento: il giurista Oliver Wendell Holmes, lo psicologo William James, il matematico Charles Sanders Peirce e il pedagogista John Dewey. Segue l'uno o l'altro di loro, assai più che negli scritti, nelle peripezie della vita reale: sui campi di battaglia e nelle dispute accademiche, fra malattie e stravizi, nelle aule di tribunale dove rilascia una testimonianza da esperto (è il caso di Peirce) e nelle foreste del Brasile dove ricerca senza successo una confutazione della teoria di Darwin (è il caso del giovane James). Ne risulta un insieme affascinante e un po' sfilacciato di aneddoti che del pragmatismo rappresenta forse la migliore introduzione possibile. Mentre infatti tra le riflessioni dei quattro autori non sembra esserci grande coerenza, affiora un'innegabile aria di famiglia nei loro atteggiamenti concreti: nel loro fidarsi innanzitutto dell'esperienza, nel loro essere pronti a cambiare opinione, nel loro tentativo di rendere la società democraticamente migliore. I tratti insomma che più distintamente caratterizzano il pragmatismo, al di là delle personali credenze e specifiche proposte. Il circolo metafisico è una traduzione un po' ambigua dell'originale The Metaphysical Club; c'era davvero un metaphysical club, ossia un gruppo di discussione su temi vari, a Cambridge (Massachusetts) nel 1872, e ne facevano parte Holmes, James e Peirce. Durò poco, poi ognuno andò per la sua strada; non diventò mai un gruppo compatto, non diede luogo a manifesti e opere comuni, rimase al massimo uno stile. Che di metafisico in senso tradizionale aveva ben poco; "antimetafisico", piuttosto, lo si sarebbe potuto dire. Ma anche questa novità, questa opposizione a ogni sistema e ogni astrazione che non sapesse confermare la sua utilità sul campo, era in fondo un'astrazione, resa possibile da un periodo storico in cui lo sviluppo economico e sociale aveva temporaneamente sostituito i fondamentalismi. Dewey, il più giovane del gruppo, morì nel 1952, in piena guerra fredda, e Menand sostiene che fu proprio la guerra fredda la tomba del pragmatismo. In realtà la decadenza era cominciata già prima, come lui stesso illustra: nel 1917, con l'entrata degli Stati Uniti nella prima guerra mondiale. Già allora infatti cominciò a riemergere un tema che la guerra fredda avrebbe reso penosamente chiaro: quest'ultima infatti «fu una guerra di principi», in cui la libertà e la tolleranza difese dai pragmatisti non erano più proficui strumenti di civile convivenza, ma si erano trasformate in bandiere e slogan in nome dei quali tornare a uccidere. Storicamente, è innegabile che sia andata così; ma un filosofo avrebbe qualcosa da aggiungere. Sottolineerebbe che molto peggio di un'idea maligna e pericolosa è la mancanza di idee, la paura delle idee. Il pragmatismo funzionò proprio perché era un'idea coraggiosa e anticonformista, e funzionò perché i suoi praticanti ci credevano fermamente, magari a dispetto di sé stessi e dei loro scrupoli nei confronti dell'assoluto. Quando "lo stesso" atteggiamento ricompare nel mondo odierno, senza il coraggio, la passione e l'onestà di Holmes, James, Peirce e Dewey, non è più davvero lo stessa cosa: è un modo per segnalare la miopia di persone schiacciate sui propri piccoli, mediocri interessi. Non ci si può certo aspettare che esprima una qualsiasi verità, e neanche che funzioni.
Recensioni
2004/02/25. Sergio Romano, E i neocon tradirono i padri del pragmatismo, Il Corriere della Sera.
2004/02/29. Beniamino Placido, La frontiera e il carattere degli americani, La Repubblica.