Fenomenologia e Interazionismo Simbolico

Sandro Segre

Associazione Italiana di Sociologia
Sezione    “Teorie Sociologiche e Trasformazioni Sociali”
Seminario di Studi su Fenomenologia e teoria sociologica
Modena, 23 febbraio 2001

Introduzione. Ci si intende qui soffermare sui rapporti concettuali, teorici ed epistemologici tra le prospettive sociologiche dette, rispettivamente, fenomenologica ed interazionista-simbolica, allo scopo di compiere un tentativo di individuare e  descrivere questi rapporti. Si tratta, appunto, solo di un tentativo di contribuire al dibattito fra quanti si sono occupati del tema, tra i quali non pare che vi sia pieno consenso. Nella prima parte del saggio si ricaveranno dalla letteratura indicazioni, per ciascuna delle due prospettive, circa gli elementi definitori e si accennerà alla loro reciproca congruenza o incongruenza. Nella seconda parte gli elementi definitori verranno rapportati da un punto di vista, di volta in volta, concettuale, teorico, epistemologico. Nella terza parte, infine, si farà riferimento a questi elementi definitori per una classificazione ragionata di alcuni indirizzi teorici tra i rappresentanti dell’una o dell’altra prospettiva, o piuttosto come partecipanti ad entrambe, per aspetti tuttavia distinti. 

Prima parte: i rispettivi campi di studio della sociologia d’orientamento fenomenologico e dell’interazionismo simbolico.

Non vi è attualmente pieno consenso nella definizione dei campi di studio della sociologia d’orientamento fenomenologico e dell’interazionismo simbolico, né di conseguenza nella definizione dei rapporti fra le due prospettive e nella classificazione di singoli autori e correnti teoriche. A tali questioni si può accennare separatamente.

La problematica definizione del campo di studio per la sociologia d’orientamento fenomenologico. Una sociologia coerente con l’insegnamento fenomenologico di Husserl deve assumere il punto di vista dell’osservatore disinteressato. Deve, in altri termini, prescindere da (ossia, “mettere tra parentesi” o “fuori azione”, “sospendere”) giudizi, interpretazioni, valutazioni circa l’esistenza, la desiderabilità, il carattere causale o qualsiasi altro attributo che si intenda attribuire ai fenomeni sociali oggetto di studio (Husserl 1976a, pp.62-67; Schutz 1962, pp.133-139). Una sociologia così orientata ha per oggetto i significati che vengono socialmente imputati a questi fenomeni dagli attori sociali e gli schemi interpretativi da essi impiegati, nel mentre nel corso della loro vita quotidiana interpretano le attività proprie ed altrui, e conferiscono ad esse un senso condiviso che viene dato per scontato (il cosiddetto “atteggiamento naturale”, vale a dire, prefenomenologico) (Husserl 1976a, pp.57-62). Si presuppone quindi che vi sia intersoggettività, che gli attori siano in grado di comunicarsi tra loro (Husserl 1976a, p.61; 1976c, pp.899-903). S’indaga su come ciò avvenga, come l’esperienza vissuta sia interpretata mediante categorie costruite e mantenute collettivamente (tipizzazioni, nella terminologia di Schutz) (Schutz 1962, pp.60-62, 74-76; 1976, pp.37-56).
   La costituzione del mondo sociale, inteso come mondo della vita costruito socialmente, ed in particolare le strutture di senso intersoggettive, sono dunque il campo d’indagine peculiare di questa prospettiva sociologica. Tale campo d’indagine è tuttavia controverso, per più ragioni. Non solo infatti la ricerca fenomenologica si connota per una continua riflessione sulla propria attività e quindi sul proprio campo d’indagine, ma anche qualsiasi studio scientifico – compresi quelli condotti nell’ambito delle scienze sociali, con i “numerosi e complessi problemi” di come da esperienze intersoggettive si ottengano conoscenze oggettive – conserva un atteggiamento prefenomenologico “naturale”, ossia, non libero dai presupposti degli indagatori  (Husserl 1976b, pp.766-782; 1976c, pp.902-903; 1997, pp.310-327. Al riguardo, cfr. anche: Ferguson 2001, pp.243-244; Vaitkus 2000, pp.272-277; Wolff 1978, pp.502-503, 523-527; tra gli studiosi italiani, in modo particolarmente approfondito ha trattato quest’ultimo tema Muzzetto 1997, pp.119-134).
      Queste osservazioni sono state formulate per indicare l’impossibilità di condurre un’indagine sociologica, la quale si conformi rigorosamente al procedimento di riduzione fenomenologica e stabilisca un campo d’indagine ben determinato. Una sociologia d’orientamento fenomenologico si espone allora a diverse obiezioni, parte delle quali è stata rivolta ad alcuni fra i più accreditati esponenti di quest’orientamento, come in particolare Schutz. In primo luogo, la realtà della vita quotidiana assume il carattere di realtà oggettiva, mantenendosi quindi non solo un atteggiamento “naturale” (nel senso prima indicato), ma anche la contrapposizione fra soggetto ed oggetto, trascesa dalla fenomenologia husserliana (Ferguson 2001, p.244). In secondo luogo, ogni distinzione fra “province  finite di significato” –  secondo le note indicazioni di Schutz  (Schutz 1962, pp.229-259, 340-347)  – non è accettabile da un punto di vista sociologico, se non si indicano le regole cognitive che caratterizzano ogni “provincia” ed i criteri per delimitare il loro numero (Goffman 1974, pp.5-6; Muzzetto 1997, p.196. Per un confronto fra Schutz e Goffman, cfr. De Biasi 2001). Che tali regole e criteri debbano essere adeguati in base al senso dal punto di vista degli attori sociali, che si conformino perciò al postulato dell’adeguatezza, nel linguaggio non univoco di Schutz (Schutz 1962, p.44; 1976, pp.19, 85, 88; cfr. al riguardo Carroll 1982; Muzzetto 1997, pp.144-197), non esime il sociologo dall’indicarli con precisione. In terzo luogo, una sociologia che vuole ispirarsi all’insegnamento di Husserl non ha un apparato concettuale e teorico che la distingua con sufficiente evidenza da una sociologia di diversa ispirazione, in particolare dall’interazionismo simbolico, con cui condivide un approccio “soggettivo” o “interpretativo” (Ciacci 1983, pp.14-15; 1996, p.26; Denzin 1970, p.28; 1983b; Wilson 1970; Wolff 1978, pp.520-521).
      Dal primo punto consegue l’impossibilità di fondare fenomenologicamente la disciplina sociologica, sicché si può avere al più una sociologia orientata fenomenologicamente. Dal secondo e dal terzo punto, consegue che un’indagine sociologica che intenda essere così orientata resta indeterminata nel suo campo d’indagine. Vi sono peraltro alcuni requisiti cui un’indagine siffatta deve conformarsi: l’impiego di un metodo interpretativo o ermeneutico; il mantenimento  solo parziale dell’atteggiamento “naturale” da parte dello studioso, nel senso di non mettere in dubbio la realtà della vita quotidiana, assunta come realtà fondamentale o primaria, ma al tempo stesso evitare di darla per scontata ed evidenziarne quindi il carattere di costruzione sociale; l’impiego – da  parte degli studiosi – di  tipi ideali, ossia di tipizzazioni di secondo ordine, per la descrizione e spiegazione di questa realtà; il tentativo di mettere in luce particolari “provincie finite di significato”, internamente omogenee dal punto di vista del senso e della rilevanza attribuiti dagli attori: costoro fanno valere un comune patrimonio di conoscenze nel costruire e mantenere una medesima realtà, mettono tra parentesi altri aspetti della realtà sociale esperita, che non sono prioritari nell’ordine di rilevanza di quel particolare momento, e partecipano congiuntamente ad una medesima situazione ed un medesimo ambiente comunicativo, giacché vale per essi la condizione d’intersoggettività e quindi di reciprocità di motivi e prospettive. Le ricerche di Schutz sulla situazione sociale dello straniero o del reduce, o sull’interazione fra compositore, esecutore ed ascoltatore nel corso dell’esecuzione di un brano musicale, o ancora sul problema della realtà per Don Chisciotte ed il suo scudiero, e sulla distribuzione sociale della conoscenza possono essere considerate altrettanti esempi d’indagini sociologiche orientate fenomenologicamente. Collaboratori o continuatori di Schutz, come Gurwitsch, Luckmann, Grathoff, Natanson ed altri, hanno condotto indagini così orientate su cui non è possibile qui soffermarsi, approfondendo – tra altri temi – il problema  dell’intersoggettività, le strutture del mondo della vita, la costruzione sociale della realtà (Schutz 1962, pp.207-259, 312-318, 340-347; 1976; cfr. anche Muzzetto 1997, pp.127-144, 201-228; Vaitkus 2000, pp.278-295; Wagner 1970). Resta tuttavia il problema di definire questo genere d’indagini nell’ambito di una prospettiva unitaria e coerente, distinta rispetto all’interazionismo simbolico.

La problematica definizione del campo di studio per l’interazionismo simbolico. Problemi definitori del campo di studio si riscontrano pure per la prospettiva dell’interazionismo simbolico. E’ noto il tentativo, compiuto da Herbert Blumer, di stabilire il suo oggetto indicandone le premesse: gli esseri umani agiscono verso un qualcosa sulla base del significato che ciò possiede per loro, tale significato deriva dall’interazione con altri ed infine esso è modificato mediante un processo interpretativo dalla persona mentre si rapporta con il mondo esterno (Blumer 1969, pp.2-6, 79; 1980). Questa definizione delle premesse, ed implicitamente dell’oggetto di ricerca di questa prospettiva (mettere in luce le interpretazioni dei significati, che gli attori conferiscono a ciò che fanno, e che si costituiscono nel corso e per mezzo di processi interattivi) presuppone che vi sia una linea di continuità teorica ed epistemologica fra Blumer ed altri studiosi, che sono generalmente situati all’interno di questa prospettiva, come in particolare Mead. Sebbene la definizione blumeriana abbia continuato ad esercitare influenza (Fine 1990, p.118; 1993, p.64; Meltzer, Petras, Reynolds 1980, p.9), si è preferito da parte di alcuni studiosi che si richiamano all’insegnamento di Mead – sin dagli anni cinquanta e sessanta con la cosiddetta “scuola di Iowa” – non sottolineare tale continuità tra Mead e Blumer. Si è messo piuttosto l’accento sui vincoli strutturali, ossia macrosociologici (normativi, in particolare), cui sono sottoposte le interazioni e, di conseguenza, anche le definizioni delle situazioni e la formazione dei sé individuali. Di questi ultimi, si è messo l’accento sulla stabilità e ci si è proposti di individuare gli elementi costitutivi e misurarne la rilevanza soggettiva (salienza) mediante una scala di Guttman (Kuhn, McPartland 1954. Cfr. anche Fine 1993, pp.63-64; Meltzer, Petras, Reynolds 1980, pp.59-67; Turner 1982, pp.322-342). Più recentemente è stata formulata  –  in  consonanza con la “scuola di Iowa” ed in aperto contrasto con Blumer – un’interpretazione di Mead che l’avvicina al comportamentismo sociale,  sottolinea la convergenza di risposte rispetto ad un simbolo significativo e quindi la possibilità di significati condivisi, e propone di conseguenza metodi d’indagine impiegati dalla psicologia sociale comportamentista (McPhail, Rexroat 1979; 1980).
        E’ stata così messa in discussione la versione blumeriana, peraltro tuttora molto influente, della prospettiva interazionista-simbolica. La ricezione attuale di Mead ha:  1) cercato di meglio inquadrare l’autore da un punto di vista sociologico e filosofico, senza tuttavia pervenire a risultati conclusivi; 2) approfondito le sue tesi sulla formazione del sé, non soddisfatta delle precedenti e troppo rigide interpretazioni funzionaliste al riguardo; 3) sviluppato il suo  pensiero in direzioni diverse, di volta in volta sottolineando la stabilità, o al contrario la fluidità, dell’immagine di sé che hanno gli individui nella contemporanea cultura americana; 4) esplorato nuovi ambiti di ricerca con riferimento, in particolare, alla concezione Meadiana dell’ordine temporale. Di Blumer si rileva attualmente l’interesse per temi macrosociologici di ricerca, come le relazioni industriali e razziali, in contrasto con precedenti interpretazioni che sostenevano l’ambito esclusivamente microsociologico dell’interazionismo blumeriano. Degno di nota, per quanto riguarda in genere l’interazionismo sociale contemporaneo, è il tentativo di mettere in luce i fondamenti al tempo stesso macrosociologici di questa prospettiva  (Fallding 1982; Fine 1990, pp.119-120; 1991; 1993, pp.68-69, 78-79; Fisher, Strauss 1978, p.485; Joas 1987, p.83; 2001, pp.96-98; Plummer 2000, pp.197-198, 206; Sandstrom et al. 2001, p.220; Strauss 1977, pp. XIV-XVII). 
           Ne è risultata l’assenza di un’univoca definizione del campo di studio dell’interazionismo simbolico post-blumeriano, compensata peraltro da una sua apertura ad una pluralità di nuovi oggetti d’indagine, come i presupposti della coordinazione sociale fra membri di piccoli gruppi (riformulando temi della “scuola di Iowa”) e la sociologia delle emozioni, delle organizzazioni, delle disuguaglianze razziali e di genere, dei mass-media, dell’età post-moderna. Questi oggetti d’indagine si sono aggiunti ai tradizionali, ma sempre attuali, temi del sé e dell’identità, dei movimenti sociali, della devianza e dell’etichettamento, e della costruzione di problemi sociali e di mondi sociali (Fine 1993). L’ampliamento ed approfondimento dei campi d’indagine è stato facilitato dal frequente impiego di concetti “sensibilizzanti” (sensitizing concepts). Questi concetti – secondo Blumer, che per primo formulò il termine – dovrebbero fornire “un generale senso di riferimento e guida nell’avvicinarsi ad esempi empirici” (Blumer 1969, p.148). Nel loro impiego contemporaneo, essi sono stati ritenuti utili per lo studio di “mondi” sociali segmentati e fluidi  (Ciacci 1996, pp.27-28; Fine 1990; 1993, pp.71-78; Musolf 1992; Plummer 2000, pp.202-212; Sandstrom et al. 2001, pp.219-228).
   Delineare gli elementi definitori della prospettiva, e quindi del campo di studio, dell’interazionismo simbolico è perciò compito difficile ed opinabile. Si riporteranno qui, ciononostante, alcune indicazioni al riguardo, preferite rispetto ad altre perché tengono conto al tempo stesso delle formulazioni classiche, in particolare di Mead e Blumer, e degli sviluppi più recenti. Queste indicazioni ricapitolano gli elementi definitori dell’interazionismo simbolico, specificandone le premesse - guida: 1) gli esseri umani posseggono capacità simboliche rilevanti nelle loro interazioni, fra cui in particolare la mente ed il sé, perciò il loro comportamento non risponde in modo automatico a stimoli, diversamente da quanto avviene per gli animali; 2) gli individui non nascono esseri umani, ma lo divengono in virtù di queste capacità simboliche ed interazioni sociali;  3) gli individui impiegano la mente ed il sé per interagire in modo attivo e consapevole con il mondo, dialogando con se stessi ed altri, e plasmando il loro comportamento pur nei limiti dei condizionamenti ambientali; 4) nel corso delle interazioni si formano definizioni della situazione, cui gli individui contribuiscono e di cui tengono conto per i fini che si propongono; 5) la società non esiste indipendentemente dalle interazioni e dai significati che ad esse sono conferiti. Al contrario, essa è costituita – in  modo strutturato non rigidamente – per  mezzo di queste interazioni e dei significati connessi; 6) lo studio di tali interazioni e significati comporta l'impiego di metodi idonei, che consentano la comprensione simpatetica degli individui o gruppi che sono oggetto d’indagine (Sandstrom et al. 2001, pp.218-219).
Queste premesse - guida, ricapitolando gli elementi definitori dell’interazionismo simbolico, consentono un confronto concettuale, teorico ed epistemologico fra questa prospettiva e quella d’orientamento fenomenologico.

Seconda parte: i rapporti fra sociologia d’orientamento fenomenologico ed interazionismo simbolico.

Il tema dei rapporti fra le due prospettive non è nuovo, ma non pare che sia stato approfondito a sufficienza né con risultati univoci. Si procederà dapprima a indicare alcune posizioni al riguardo, di cui si terrà conto in seguito, al momento di proporre il confronto in questione.

Alcune tesi circa i rapporti fra queste prospettive. Il confronto è stato condotto, più che fra le prospettive intese come schemi concettuali unitari, fra singoli autori ritenuti rappresentativi dell’una o dell’altra prospettiva, ed in particolare fra Mead e Schutz. Un influente ed autorevole studioso della prospettiva interazionista ha accennato ad un confronto generale (ossia, a livello di prospettiva e non di autore), sostenendo che questa prospettiva “è nel suo nucleo sociale e relazionale, laddove l’approccio fenomenologico mette l’accento sulla costruzione individuale del mondo, un mondo di attori distinti e separati” (Fine 1990, p.139. Evidenziazione grafica dell’autore). La distinzione mette in luce le diverse unità di analisi delle due prospettive, la coscienza intenzionale dei soggetti per i fenomenologi, le interazioni significative per gli interazionisti. Essa non chiarisce tuttavia che per la sociologia fenomenologica, a partire da Schutz, l’ego degli attori è solo una costruzione analitica che permette di soffermarsi sui loro flussi di coscienza. Gli attori empirici possono intendersi e comunicare fra loro in modo diretto (“prepredicativo”, nel linguaggio fenomenologico), rivolgendo ciascuno la propria attenzione ai flussi di coscienza di altri con cui si è in contatto faccia – a – faccia; oppure, in modo indiretto o predicativo, mediante giudizi interpretativi che si avvalgono del patrimonio di conoscenze disponibili ai singoli attori (Schutz 1962, pp.312-318; 1976, pp.20-62, 159-178. Cfr. anche Muzzetto 1997, pp.235-251).
     Un confronto generale fra le due prospettive non è stato frequente. Interessante al riguardo è la posizione di Jonathan H. Turner, il quale affermava nel 1982 che “la fenomenologia attuale, per quanto si debba distinguerla dall’interazionismo simbolico della Scuola di Chicago, deve ancora diventare una prospettiva teorica unificata o coerente”. L’autore, a sostegno di questa tesi, indicava la corrispondenza fra alcune nozioni di Schutz da un lato, di Mead ed altri interazionisti dall’altro: patrimonio di conoscenze (Schutz) e “altro generalizzato” (Mead);  il mondo dato per scontato, in quanto formato da un patrimonio di conoscenze (Schutz), e le nozioni di comportamento abituale o di routine (interazionisti); acquisizione di un patrimonio di conoscenze (Schutz) e processo di socializzazione (interazionisti);  reciprocità di prospettive e processo di tipizzazione (Schutz) e assunzione del ruolo dell’altro (interazionisti). L’originalità della prospettiva fenomenologica rispetto a quella interazionista consisterebbe solo nella tesi, secondo cui gli attori presuppongono che le proprie esperienze della realtà siano intersoggettive (Turner 1982, pp.398-399). 
     L’asserzione di Turner, per cui la tesi dell’intersoggettività differenzierebbe la prospettiva fenomenologica da quella interazionista, merita attenzione, sebbene    sembrino forzate le analogie che egli riscontra fra Schutz da un lato, Mead e l’interazionismo simbolico in genere dall’altro. In particolare, Schutz non ha prodotto una teoria dell’assunzione del ruolo altrui, ma ha preferito far riferimento (seppure con riserva) agli scritti di James e Mead in tema (Schutz 1962, pp.18-19, 216-217. Cfr. anche Muzzetto 1997, p.238).  Un confronto analogo è stato tentato anche da Perinbanayagam, che ha preferito tuttavia comparare il pensiero di Schutz con quello di Cooley e Mead per quanto riguarda, specificamente, il rispettivo concetto di “altro”.  La comparazione lo ha portato a contrapporre un presunto “ego solitario” di Schutz, che sarebbe incapace di rapportarsi  all’altro, ad un sé di Cooley e Mead in rapporto di “reciproca influenza” con l’altro (Perinbanayam 1975, pp.518-519).
       La replica di Muzzetto mette in evidenza che “il sociale è presente in ogni aspetto del pensiero di Schutz”, poiché gli attori possono rivolgere l’attenzione al flusso di coscienza dell’altro, e segnala inoltre il carattere analitico, anziché empiricamente descrittivo, del concetto schutziano di sé. Non vi sarebbero invece obiezioni, per quanto riguarda l’interpretazione che Perinbanayagam offre di Mead. “Le idee di self, di io, di me ...sono di fatto inglobate, almeno nei loro aspetti fondamentali, nella  fenomenologia di Schutz”, scrive Muzzetto riferendosi a James e Mead,  e soggiunge che è “empiricamente corretta” l’assunzione di Mead che “il self sia socialmente prodotto, che la comprensione dell’altro dipenda dal processo di socializzazione”, ma vi sarebbe una lacuna di Mead nell’affrontare il problema dell’intersoggettività.
         Muzzetto è dunque in sintonia con Turner: questo problema sarebbe stato discusso solo nell’ambito della fenomenologia, e non dell’interazionismo. Mead avrebbe trattato nella sua opera più nota –  Mind, Self, & Society – “il problema dell’esperienza sociale dal punto di vista della società”, senza riuscire in altre opere ad introdurre in modo soddisfacente “il punto di vista della soggettività”. A questa lacuna Schutz (sempre secondo Muzzetto) avrebbe inteso porre rimedio: “Sul piano sociologico le analisi di Schutz possono essere ritenute complementari a quelle di Mead...se l’analisi di Mead è centrata principalmente sui modi in cui il sociale produce il self, Schutz tenta di analizzare i modi in cui il self (ri)costituisce il sociale” (Muzzetto 1997, pp.69, 234-235, 238-240, 246-251).
       Lo stesso Schutz obietta in effetti a ciò che chiama  “pragmatismo volgare”, di non considerare “i problemi della costituzione della vita cosciente insiti nella nozione di un ego agens o homo faber,  da cui come un dato prendono le mosse la maggior parte degli autori”. Qualche autore della scuola pragmatista avrebbe tuttavia (a giudizio di Schutz) fatto eccezione, offrendo un’interpretazione della nostra vita cognitiva secondo cui una condizione di massima attenzione del sé attivo avrebbe indicato il segmento del mondo pragmaticamente rilevante, e quindi la forma ed il contenuto del nostro flusso di pensiero (Schutz 1962, p.213). Sebbene di quale pragmatista si tratti non sia indicato esplicitamente, Schutz sostiene poco oltre che è “grande merito di Mead aver analizzato... l’esperienza delle cose fisiche all’interno dell’area soggetta fisicamente al nostro controllo ”, che comprende “gli oggetti che possono essere sia visti, sia maneggiati”, e che quest’area “costituisce la realtà specifica della vita quotidiana”. Lo stesso Schutz segnala a questo proposito una convergenza fra la propria posizione teoretica e quella di Mead (Schutz 1962, p.223). 
           Con ciò non si intende qui sostenere che Schutz ritenga completa questa convergenza: al contrario, egli prende le distanze dalla teoria Meadiana dell’origine sociale del sé e dai suoi presupposti comportamentistici, che porterebbero Mead (ma non James, ritenuto quindi più persuasivo) a spiegare tale origine in termini di stimoli e risposte (Schutz 1962, pp.217, 223). Si tratta perciò di una convergenza solo parziale fra i due autori, ed in generale fra le prospettive fenomenologica ed interazionista-simbolica. Una piena convergenza è, d’altronde, ostacolata da “sostanziali differenze di fondo” fra fenomenologia e pragmatismo: nonostante la grande stima di Husserl per James, l’indagine di quest’ultimo è psicologica, ossia, prefenomenologica, poiché non ricerca come si costituisca l’oggetto del pensiero nell’immanenza della coscienza, né si propone di “costruire una dottrina pura e a priori dell’esperienza” (Civita 1982, pp.100-101, 114-115).
    L’ambito di convergenza è tuttavia più ampio di quanto non sia apparso a Schutz, poiché per Mead, come per Schutz, il rapporto fra soggetto e società è reciproco: se per Schutz il mondo della vita quotidiana è un mondo intersoggettivo, “il nostro proprio e quello delle altre persone, contemporanei e predecessori” con cui condividiamo una cultura, ossia un universo di significato (Schutz 1962, p.10), per Mead “gli individui umani sono messi in grado, dal loro possesso di menti o capacità di pensare, di rivolgersi indietro criticamente, per così dire, verso la struttura organizzata della società alla quale appartengono (e dai cui rapporti sono derivate in primo luogo le loro menti)” (Mead 1967, p.308; cfr. anche Morris 1967, pp.XXIV-XXVI; Strauss 1977, pp.XXVII-XXVIII).
   L’indagine sinora condotta circa i rapporti fra sociologia d’orientamento fenomenologico ed interazionismo simbolico ha consentito di pervenire ad alcune conclusioni: 1) la condivisione da parte delle due prospettive di un approccio soggettivo o interpretativo; 2) il loro distinto oggetto d’indagine e la loro diversa unità d’analisi: la coscienza intenzionale dei soggetti per i fenomenologi, le interazioni significative per gli interazionisti; 3) la tesi, comune a Schutz e Mead, secondo cui l’intersoggettività è possibile mediante, nel linguaggio di Schutz, “l’esperienza delle cose fisiche all’interno dell’area soggetta fisicamente al nostro controllo”; 4) la comune tesi della reciprocità dei rapporti d’influenza fra individui e la loro società d’appartenenza. Si procederà ora ad un confronto più approfondito.

Un confronto fra sociologia d’orientamento fenomenologico ed interazionismo simbolico. In questa sede gli elementi definitori delle due prospettive saranno rapportati da un punto di vista concettuale, teorico ed epistemologico. Da un punto di vista concettuale, se si eccettuano i termini di “significato” ed “interpretazione” o “comprensione”, ed ancora i termini di “situazione” e “definizione della situazione” (che Schutz ha derivato dall’interazionista  Thomas) (Schutz 1962, pp.9, 348), le due prospettive impiegano per il resto categorie diverse. Tra queste categorie si segnalano in particolare: realtà della vita quotidiana, tipizzazioni, provincie finite di significato, patrimonio di conoscenze, ordine di rilevanza, come concetti appartenenti al lessico fenomenologico;  capacità simboliche, interazioni sociali, mente, sé, conversazione di gesti, come concetti appartenenti invece al lessico interazionista (ancorché usati talvolta anche dai fenomenologi). Le differenze di vocaboli e concetti, sebbene non complete, possono contribuire a spiegare la frequente ostilità, almeno negli Stati Uniti, fra sociologi prossimi all’una o all’altra prospettiva (Fine 1990, p.147, nota 14). Per entrambe le prospettive, l’apparato concettuale è funzionale alle formulazioni teoriche.
         Da un punto di vista teorico, ossia concernente nessi comprovabili (almeno in via di principio) fra proposizioni, la comune tesi secondo cui vi è influenza reciproca fra gli individui e la loro società d’appartenenza è stata diversamente argomentata. Per una sociologia d’orientamento fenomenologico, gli individui possono interagire mediante il loro patrimonio di conoscenze con il patrimonio simbolico che connota una o più provincie finite di significato, o comunità culturali, d’appartenenza, poiché questo patrimonio simbolico è relativamente ristretto, e quindi sufficientemente prossimo all’esperienza diretta della realtà sociale ed alle conoscenze che ne derivano per gli individui. Inoltre, la formazione ed il mantenimento di un  patrimonio di conoscenze, individuale e sociale, presuppongono che siano stati messi tra parentesi, perché non prioritari nell’ordine di rilevanza, aspetti della realtà estranei alle provincie finite di significato cui  appartengono gli individui e che essi prendano parte assieme, nella vita quotidiana, ad una medesima situazione ed ad un medesimo ambiente comunicativo. Poiché l’esistenza di un patrimonio simbolico, e la partecipazione congiunta ad una situazione e ad un ambiente comunicativo, si presuppongono a vicenda, entrambe queste condizioni sono fatte dipendere da una teoria della socializzazione – quella di Mead – che non può richiamarsi a pieno titolo ad una sociologia d’orientamento fenomenologico.
      Per una sociologia d’orientamento interazionista simbolico sono rilevanti alcune proposizioni teoriche: 1) l’interazione interpersonale a carattere cooperativo dipende dalla regolazione consapevole del proprio comportamento e dallo stabilire un dialogo continuo con sé ed altri; 2) queste condizioni dipendono dal modo significativo, attivo e consapevole con cui gli esseri umani rispondono a stimoli; 3) la capacità di rispondere in tal modo a stimoli consegue a sua volta dal possesso di capacità simboliche, come la mente e il sé, le quali caratterizzano la specie umana e si sviluppano in un contesto iniziale di interazioni già significative, ma non ancora cooperative. Queste proposizioni sono concatenate, nel senso che, per le prime due proposizioni, la validità empirica di ciascuna dipende dalla validità di quella successiva.
   Da un punto di vista epistemologico, che cioè riguarda i presupposti conoscitivi ed il campo di studio di una disciplina, i due diversi orientamenti condividono alcuni presupposti: che gli esseri umani interagiscono in modo significativo e che tali significati possono in genere, e comunque in via di principio, essere compresi, direttamente o mediante interpretazione, dai partecipanti all’interazione e da un osservatore esterno (persona comune, o studioso di scienze sociali, che deve perciò impiegare un metodo interpretativo o ermeneutico). Il campo di studio è indicato genericamente come l’ambito di realtà sociale significativa, costituito consapevolmente da individui mediante le loro interazioni. Per il resto, presupposti e campi di studio non coincidono.
     Per i sociologi d’orientamento fenomenologico, presupposti specifici sono che la vita quotidiana sia assunta come realtà fondamentale dai soggetti e dallo studioso, che essa sia dotata di senso condiviso, e che –  come presupposto di secondo ordine – essa sia quindi comprensibile per entrambe queste categorie di persone (soggetti e studioso). Oggetto d’indagine è l’attività della coscienza intenzionale dei soggetti, che si esplica nell’ambito della vita quotidiana.  Le due proposizioni teoriche – che gli individui sono in grado d’interagire con altri poiché, e nella misura in cui, condividono con essi un patrimonio simbolico, e che questo patrimonio si forma e si mantiene in virtù  della compartecipazione nella vita quotidiana di più individui ad una situazione e ad un ambiente comunicativo – sono coerenti con i presupposti e l’oggetto d’indagine ora indicati.
     Per i sociologi d’orientamento interazionista, presupposto specifico è che gli esseri umani sono forniti di capacità simboliche rilevanti per le loro interazioni. Oggetto d’indagine sono le interazioni significative attuate dagli individui nell’ambito delle loro comunità d’appartenenza, la più ampia delle quali è la società. Sono conformi con il presupposto specifico e l’oggetto d’indagine dell’interazionismo simbolico le proposizioni teoriche prima individuate: gli individui possono interagire fra loro, e quindi con la loro società d’appartenenza,  poiché essi – a differenza degli animali – sono in grado di plasmare il loro comportamento, pur con i vincoli dei condizionamenti ambientali, e di stabilire un dialogo continuo con sé e con gli altri. Ciò avviene giacché essi posseggono capacità simboliche rilevanti per le interazioni, in particolare la mente ed il sé, che consentono loro di  rispondere a stimoli in modo non automatico, bensì significativo, attivo e consapevole.
 
Terza parte: una classificazione ragionata di alcuni indirizzi teorici ibridi.

Sono stati compiuti accostamenti fra alcuni indirizzi teorici, quali l’etnometodologia ed il costruzionismo sociale, e la prospettiva fenomenologica o quella interazionista. Tuttavia, l’uno o l’altro di questi indirizzi non è stato sinora rapportato ad entrambe le prospettive. In questa sede, si presenteranno dapprima le conclusioni cui sono pervenuti gli autori che hanno rapportato l’etnometodologia alla sociologia fenomenologica o – meno frequentemente – all’interazionismo simbolico.  Si cercherà quindi di integrare queste conclusioni, alla luce dei risultati del confronto sinora condotto fra queste prospettive. L’intento è di argomentare la tesi, secondo cui questi indirizzi appartengono, per aspetti distinti, ad entrambe le prospettive.

L’etnometodologia fra sociologia fenomenologica ed interazionismo simbolico. Si  considererà dapprima la sociologia fenomenologica, mostrando i rapporti fra l’etnometodologia e questa prospettiva. Non ci si soffermerà qui né sull’etnometodologia in quanto indirizzo teorico a se stante, per la quale si può rinviare ad introduzioni (Giglioli 1993; Giglioli, Dal Lago 1983; Heritage 1987; Muzzetto 1997, pp.269-291; Sharrock 1989; 2001), né sulle diversità dei rispettivi termini lessicali. La sociologia fenomenologica (in particolare, la sociologia di Schutz) condivide con l’etnometodologia: 1) l’attenzione verso le strutture di senso del mondo sociale, in particolare anche verso forme precomunicative d’interazione; 2) una concezione dell’azione come non determinata da condizionamenti esterni rispetto agli attori, in particolare da condizionamenti normativi; 3) l’accento sulla situazione, situata in uno specifico contesto spazio – temporale, come oggetto privilegiato di studio. Costituiscono oggetto di studio anche le situazioni caratteristiche di ambiti organizzativo – istituzionali, come uffici, laboratori, aule giudiziarie, che sono caratterizzati da routines, ossia, da azioni prevedibili e stabili.; 4) un atteggiamento di neutralità o “indifferenza metodologica” verso le interpretazioni o spiegazioni offerte dai soggetti nel rendere conto di ciò che fanno (Fele 2001; Ferguson 2001, p.244; Giglioli 1993; Heap, Roth 1973, p.363; Heritage 1987, pp. 229-232, 240-248; Lynch 1999, pp.220-221; Muzzetto 1997, pp.312-313; Psathas 1968, pp.513-515).    Nel linguaggio di Schutz, ciò significa che il sociologo è “l’osservatore scientifico disinteressato del mondo sociale”, che vuole bensì conoscere, ma senza partecipare ai progetti, rapporti, sentimenti degli attori, al “flusso vivente delle intenzionalità” (Schutz 1962, p.137; 1976, p.92). Nel linguaggio dell’etnometodologia, ed assumendo il suo punto di vista e metodo, ciò significa che “ogni caratteristica del mondo della vita quotidiana è mantenuta intatta...Ciò che è mutato” è che le “caratteristiche di tale mondo”, le “descrizioni, spiegazioni e racconti che accompagnano i rapporti che si stabiliscono con esso...diventano disponibili... come fenomeni a pieno diritto” (Zimmerman, Pollner 1983, p.111; cfr. in genere le pp.104-117).
        L’interesse verso “il carattere ordinato delle faccende quotidiane”, conseguito ed al tempo stesso interpretato secondo categorie di senso comune dagli attori sociali (compreso lo studioso) nell’ambito di contesti specifici che essi stessi costituiscono congiuntamente, connota sia l’indirizzo etnometodologico, sia anche quello fenomenologico. Lo specifico intento etnometodologico è tuttavia di apprendere come le azioni pratiche e le conoscenze di senso comune delle persone nella loro vita quotidiana posseggano proprietà formali, siano metodi da esse attuate in modo generalmente competente per rendere sensate e spiegabili queste stesse azioni e conoscenze. L’intento è, in altre parole, riscoprire  il senso comune i cui contenuti non sono normalmente esplicitati, analizzare l’organizzazione della vita sociale nel suo manifestarsi quotidiano, alla luce delle “proprietà  invarianti” delle sue pratiche costitutive in microcontesti locali (Garfinkel 1984, pp.VII-VIII, 1-4, 37-38, 75; Zimmerman, Pollner 1983, pp.107-108; cfr. anche Giglioli, Dal Lago 1983, pp.25-26; Heritage 1987, pp.229-236; Muzzetto 1997, pp.285-286; Sharrock 2001, p.252).
    A questo accostamentofra sociologia fenomenologica ed etnometodologia è stato tuttavia obiettato che per la riduzione fenomenologica il mondo sociale è costituito da atti intenzionali delle coscienze, mentre per la riduzione etnometodologica il mondo sociale è costituito dalle procedure interpretative ed esplicative con cui a tale mondo i soggetti conferiscono senso in specifici contesti  sociali (Giglioli 1993, p.666; Heap, Roth 1973, p.363). Data la comune premessa di neutralità o “indifferenza metodologica”, studiosi d’orientamento fenomenologico ed etnometodologico condividono inoltre l’esigenza d’impiegare metodi di osservazione – come  rispettivamente il weberiano tipo ideale e il metodo documentario d’interpretazione – con  cui interpretare e spiegare in modo obiettivo il senso dell’agire. Questi metodi comportano l’interpretazione del mondo sociale in conformità a presupposti preesistenti, che si conformano con le interpretazioni di senso comune della realtà sociale, ed interagiscono quindi con i contenuti e le modalità delle osservazioni (Garfinkel 1984, pp.76-79, 100-103; Schutz 1962, pp.40-44. Cfr. anche Heap, Roth 1973, p.364; Muzzetto 1997, pp.289-290, 313-314; Sharrock 2001, p.252).
      Anche in questo caso, è stato osservato che ad un accostamento tra fenomenologia ed etnometodologia è d’ostacolo il diverso intento metodologico: per  la sociologia d’orientamento fenomenologico, il metodo consente un’interpretazione relativamente oggettiva di aspetti del mondo sociale, la cui intersoggettività è assunta a priori, mentre per l’etnometodologia l’intersoggettività consegue da pratiche contingenti ed il metodo è una fra queste pratiche (Heap, Roth 1973, p.364). A queste osservazioni si possono aggiungere altre, che riprendono le formulazioni precedenti a proposito della prospettiva fenomenologica. Lo specifico apporto conoscitivo dell’etnometodologia rispetto alla prospettiva interazionista è mettere in luce le “proprietà  invarianti”  delle pratiche che creano ed ordinano un particolare contesto sociale, e nel contempo gli danno senso.  Alcune acquisizioni concettuali e teoriche di questa prospettiva non sembrano tuttavia mantenute, o almeno impiegate a fondo, dall’etnometodologia. A queste acquisizioni fa invece riferimento la tesi fenomenologica, secondo cui è possibile individuare una simultanea pluralità di:
strati di realtà significative, cui gli attori sociali accedono direttamente o indirettamente, con tipizzazioni di varia generalità. La compresenza di più strati di realtà, e la possibilità di accesso diretto o indiretto ad essi, non sono oggetto precipuo dell’indagine etnometodologica, che si limita a prendere in considerazione situazioni, la cui esistenza consegue da pratiche contingenti che gli attori realizzano in ambiti locali di azione e di senso;
“provincie finite di significato”, dotate di senso per un numero vario di attori (anche uno solo). La sociologia d’ispirazione schutziana non pone quindi l’accento solo o prevalentemente, come gli etnometodologi, sulla “provincia” della vita quotidiana e quella della conoscenza d’esperti accreditati nel campo di volta in volta rilevante (scientifico, legale, medico, ecc.);
sistemi di rilevanza, che sono socialmente trasmessi ed impiegati dagli individui per dare senso ai loro mondi di significato. Sebbene questo senso sia mantenuto collettivamente da particolari gruppi nel corso di rapporti diretti fra i membri, ogni individuo ha un proprio sistema di rilevanza a seconda dei suoi interessi pratici e teorici del momento. Per Schutz ed in genere per la sociologia d’orientamento fenomenologico, il patrimonio di conoscenza è derivato da conoscenze disponibili socialmente, ma gli interessi personali indicano ai singoli ciò che merita di essere appreso in una particolare situazione, con quale grado di chiarezza e precisione, e con quale grado di fiducia nella fonte d’informazione, sicché questo patrimonio individuale è stratificato in più sensi. L’insistenza da parte dell’etnometodologia sulle conoscenze di senso comune, il cui possesso è presupposto reciprocamente dagli attori sociali che partecipano a specifiche situazioni, non sembra promuovere la ricerca né dei loro particolari sistemi di rilevanza, né della struttura del loro patrimonio di conoscenze.   
           Seppur senza volere disconoscere l’influenza dell’insegnamento di Husserl, Gurwitsch e Schutz, che lo stesso Garfinkel ricorda (Garfinkel 1984, p.IX), si può perciò dubitare della contiguità dell’etnometodologia con la sociologia fenomenologica, da un punto di vista sia  epistemologico, sia anche concettuale e teorico (se è lecito qui impiegare il termine di teoria, così inviso agli etnometodologi) (Lynch 1999, pp.212-217; Sharrock  2001, pp.251-252).  Problemi di contiguità si riscontrano d’altronde anche con l’interazionismo simbolico. Che vi sia contiguità è stato sostenuto con questi argomenti: da un punto di vista epistemologico, è conferito rilievo da entrambe le prospettive al problema del significato e vi sono comuni campi d’indagine, come la socializzazione, la devianza, l’organizzazione e la condotta scientifica. Da un punto di vista teorico e metodologico,  entrambe le prospettive si oppongono a teorie e metodi lontani dal mondo della vita quotidiana, e si riconoscono invece nella tesi, secondo cui il significato è costruito nel corso d’interazioni faccia a faccia fra attori, socialmente competenti e consapevoli di partecipare ad una comune situazione, e può essere ricostruito o messo in luce con metodi idonei ad una sociologia interpretativa.
      E’ stato tuttavia osservato che l’interazionismo simbolico, quanto meno nella più nota versione di Mead, non condivide con l’etnometodologia la valutazione di estrema precarietà e contestualità che essa attribuisce all’ordine sociale (Denzin 1983a; Meltzer, Petras, Reynolds 1980, pp.78-79).  Si aggiunga che la prospettiva interazionista dispone di un apparato concettuale e teorico che le permette di affrontare l’indagine di processi (ad esempio, il processo di socializzazione, e di formazione del sé e dell’identità) e di strutture continuative (ad esempio, organizzazioni o campi organizzativi), di cui si sottolinea il carattere simbolico ed il cui senso è negoziato nell’ambito di limiti prestabiliti, intesi come significati sedimentati (Fine 1993, pp.78-79; Sandstrom et al. 2001, pp.219-221, 224-225).  L’attenzione dell’etnometodologia verso situazioni contingenti, prodotte all’interno di tali processi e strutture, comporta invero una particolare capacità di mettere in luce le proprietà invarianti delle pratiche costitutive del senso comune in microcontesti, al prezzo tuttavia di delimitare drasticamente l’oggetto di ricerca.
     Le connessioni dell’etnometodologia con entrambe le prospettive qui considerate sono dunque parziali, ma sufficienti per attribuirle il carattere di indirizzo teorico ibrido. Questo medesimo carattere può attribuirsi al costruzionismo sociale. Nella versione della nota opera di Berger e Luckmann (1967), concernente la realtà come costruzione sociale, questo indirizzo è stato – sebbene con riserve – situato all’interno della sociologia fenomenologica (Ferguson 2001, p.244; Vaitkus 2000, p.286). L’opera di Berger e Luckmann dichiara la propria derivazione dall’insegnamento teorico di Schutz, di cui riprende concetti, proposizioni teoriche e presupposti epistemologici, ma rinvia frequentemente a concetti e teorie dell’interazionismo di Mead ed ha a sua volta influenzato l’interazionismo simbolico contemporaneo (Fine 1993, p.67), sicché ha collocazione teorica non ben definita all’interno di due prospettive, che si è qui cercato di tenere quanto possibile distinte.
  Considerazioni simili possono formularsi per un altro filone del costruzionismo sociale: “l’approccio costruzionista è l’orientamento interazionista contemporaneo dominante nell’ambito della teoria dei problemi sociali”(Sandstrom et al. 2001, p.223). L’orientamento interazionista di questo approccio  consegue  dall’accento posto sulla definizione di una situazione, come problema sociale ad opera di persone che interagiscono con vari ruoli (di portatori di lamentele, di iniziatori di movimenti d’opinione, di organizzazioni che si fanno carico di rispondere alle istanze), e sulle conseguenze di tale definizione (Rubington, Weinberg 1995, p. 292). Applicato alla teoria dei problemi sociali, l’approccio costruzionista può interpretarsi in senso stretto e privilegiare così un punto di vista interazionista – etnometodologico, per cui non vi sono problemi sociali oggettivi, che cioè prescindano dalle pratiche e procedure di senso comune con cui essi sono costruiti; oppure questo approccio può interpretarsi in senso contestuale, per cui si assume che condizioni sociali oggettive favoriscono la costruzione di problemi sociali (Best 1995, pp.343-347; Fine 1993, pp.75-76; Hester, Eglin 1995, pp.269-271; Sandstrom et al. 2001, p.224). Nel primo caso, esso va considerato nell’ambito dell’interazionismo etnometodologico, sul cui rapporto con la prospettiva dell’interazionismo simbolico ci si è già pronunciati. Nel secondo caso, questo rapporto va valutato non in astratto, bensì a seconda di come una specifica applicazione di questo approccio impieghi le premesse – guida e le proposizioni teoriche prima indicate. 

Conclusione. In questo saggio ci si è proposto l’obiettivo di indicare quali siano i rapporti (concettuali, teorici ed epistemologici) tra le prospettive  fenomenologica ed interazionista-simbolica. Nella prima parte del saggio sono stati precisati gli elementi comuni tra queste prospettive, i requisiti di un’indagine ispirata alla prospettiva fenomenologica e gli elementi definitori dell’interazionismo simbolico. Nella seconda parte, si sono precisati i rapporti fra queste prospettive e si è condotto un confronto tra di esse, sempre da un punto di vista concettuale, teorico ed epistemologico. Infine, nella terza parte, si è cercato di fornire una classificazione ragionata di alcuni indirizzi teorici che partecipano ad entrambe le prospettive, quali l’etnometodologia ed il costruzionismo sociale, mostrando con quali argomenti si possa sostenere la contiguità di questi indirizzi con la sociologia d’orientamento fenomenologico e con l’interazionismo simbolico.
 
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