L’eroe come paradigma dell’azione umana. Le rappresentazioni narrative da Achille a Drogo come prototipi psicologici.

Cristina Zanette, Claudio Fasola

Conclusioni

Si sono indagate diverse forme dell’immaginario eroico come sono state tramandate dalla letteratura classica e non. Non si è voluto rappresentare un quadro diacronico dello sviluppo dell’idea di eroe attraverso i tempi e le letterature, quanto piuttosto, a livello sincronico, sottolineare come l’eroe, rappresentazione più alta del sistema valoriale della società che lo ha creato e lo ha definito come tale, possa essere assunto a esemplificazione della necessità per l’uomo di crearsi una rappresentazione di sè nell’interazione con gli altri; rappresentazione di sé non come personalità,  ma identità, non entità naturale, ma effetto semiotico e mutevole del campo relazionale, significato ed effetto auto/etero percepito del rapporto di un individuo con gli altri (Salvini, 2005).
Nell’agire interattivo si evidenziano processi intenzionali e consapevoli in relazione a strutture di significato condivise (Fasola, 2005) e così Achille non è più “straniero” (Il IX, 648) quando il suo dolore privato si trasforma nel dolore comune della società, quando torna a combattere per la sua comunità e torna ad essere il “baluardo” (Il I, 283) dei Greci, quando torna ad essere eroe; Odisseo si riappropria del suo nome, tante volte taciuto durante le sue peregrinazioni, solo dopo aver ristabilito l’ordine, ordine sociale e culturale, nella sua reggia; Drogo vive esclusivamente nella condivisione di un ideale, di una speranza, di una prospettiva nata per necessità di dare coerenza ad una autobiografia altrimenti difficilmente leggibile: i soldati della fortezza vivono di un racconto che essi stessi sono venuti costruendosi.
Se l’uomo si racconta con l’orizzonte di significati delle persone con cui interagisce nella co-costruzione del mondo e della realtà, Antigone e Creonte rappresentano la tragicità che coglie l’uomo che non si riconosce in un orizzonte comune, che non condivide con gli altri elementi comuni di significazione degli eventi né un medesimo sistema linguistico comunicativo.
Si è tentato di dimostrare attraverso la letteratura come nell’uomo ontologia ed epistemologia coincidano: sono le convinzioni che si hanno sul mondo che dicono come leggerlo e come agirvi (Bateson, 1972); la costruzione di ogni ordine sociale è data da un processo auto regolativo che mette in relazione in un rapporto dialettico le rappresentazioni dell’individuo e le rappresentazioni della realtà (Fasola, 2005).
La lettura di alcune pagine di letteratura è parso un possibile punto di partenza di una riflessione di più ampio respiro che risponda alla esigenza, già sottolineata da Denzin, di riconoscere i “legami che articolano il mondo simbolico e la cultura nella struttura sociale, l’esistenza di un intreccio indissolubile tra interazione simbolica, processi comunicativi e cultura” (Lattanzi, Fasola, 2008).. Si vorrebbe proseguire il lavoro allargando l’analisi ai più diversi aspetti in cui la cultura si declina, cinema, fumetti, televisione, nella convinzione che, come partendo da presupposti diversi già ha fatto la Psicanalisi, ogni atto comunicativo dell’uomo sia possibile oggetto di interesse, intendendo, a differenza di quanto ha fatto e fa la Psicanalisi, atto comunicativo ogni linguaggio che, nel rifiuto della mera sua funzione raffigurativa, partecipa alla costruzione del mondo, trasformando un gesto in un simbolo significativo, contribuendo alla costruzione di significati condivisi: “la conversazione di gesti consapevole o significativa è un processo di reciproco aggiustamento nell’ambito dell’atto sociale – implicante l’assunzione, da parte di ciascuno degli individui che lo compiono, degli atteggiamenti altrui verso ognuno di loro – di gran lunga più adeguato ed efficiente della conversazione di gesti inconsapevole o non significativa” (Mead, 1934, p. 73).  

Bibliografia