Il pensiero di Norman Denzin

Silvia Lattanzi , Claudio Fasola

1. Il valore dei mass-media in Denzin
Sulla scia della prospettiva culturale Denzin riflette nella sua teoria il passaggio da una cultura moderna a una cultura postmoderna, nella quale il linguaggio è quello della comunicazione di massa. Denzin offre una lettura diversa dei mass media, visti come l’emblema del senso comune. Essi trasmettono le categorie che gli uomini devono utilizzare come risorsa e strumento per la conoscenza. La comunicazione mediatica è la migliore che possa offrire un’adeguata lettura delle pluralità che la cultura postmoderna offre.
Il nodo cruciale del Postmodernismo è la trasformazione in corso dell’esperienza vissuta e in questa argomentazione si fa presente l’istanza pragmatica caratteristica dell’Interazionismo: il compito dello studioso è comprendere quello che accade guardando le cose “da vicino” e non costruire modelli totalizzanti della società [1], in questo senso devono essere considerati i mass media.
Nonostante i codici che definiscono il formato mediale delle storie personali, modellano gli eventi in modo da farne prodotti narrativi facilmente consumabili e digeribili per il pubblico, in una prospettiva postmoderna, le scene evocate offrono rappresentazioni e narrazioni della cultura popolare. Buona parte dei prodotti finiti, film, soap opera e quant’altro, ripropongono gli stereotipi culturali più diffusi, evitando di mettere in dubbio il “dato per scontato”, ma così facendo evidenziano l’attaccamento alle certezze consolidate degli uomini, mostrando come essi siano restii ad utilizzare significati che si allontanino da quelli condivisi. In questo senso Denzin utilizza il potere evocativo della comunicazione mediatica.
L’età contemporanea è caratterizzata dal dominio della tecnologia informatica che, a parere di Denzin, per molti studiosi contemporanei, legati ancora ad una tradizione moderna, ha il compito di omogeneizzare tra di loro e annullare le culture dei diversi popoli. Contro l’opinione di questi studiosi, Denzin utilizza il termine iperrealtà per descrivere una società dell’informazione saturata socialmente da forme di rappresentazione filmiche, fotografiche, elettroniche, che sono sempre in via di sviluppo e che hanno un effetto profondo sulla struttura delle narrazioni attraverso cui noi costruiamo la nostra identità. I sentimenti, i pensieri, le azioni dell’uomo devono continuamente confrontarsi con i sentimenti, i pensieri e le azioni che la società offre. Forse in nessuna altra società come in quella postmoderna è stato più adeguato il precetto fondamentale dell’Interazionismo simbolico secondo cui la realtà è una costruzione formata da due momenti: il primo costituito dall’incontro dell’individuo con se stesso e il secondo costituito dall’interazione dell’individuo con un altro o più individui che vivono  nella sua stessa società.

2. Il progetto postmoderno di Denzin: i Cultural Studies
Nella sua costruzione di una teoria in grado di comprendere la società Denzin riconosce l’esistenza di un intreccio indissolubile tra interazione simbolica, processi comunicativi e cultura. Sono i repertori simbolici che modellano le forme in cui si presenta il reale: non c’è una realtà “in sé”, ma solo mappe su cui sono indicati i possibili percorsi da seguire. Non si dà quindi spazio a nessuna visione del mondo che abbia la pretesa di dare spiegazioni e assiomi di verità incontrovertibili.
I Cultural Studies, un filone teorico nato in Inghilterra con l’obiettivo di scoprire i legami che articolano il mondo simbolico e la cultura nella struttura sociale, si ricongiungono nel pensiero di Denzin alle idee degli esponenti dell’Interazionismo di Chicago.
L’autore parte dal presupposto che la comunicazione che costruisce l’uomo e la società non sia un trasporto di informazioni, ma piuttosto un’interazione rituale che dà forma ad una cultura. La comunicazione è cultura e qualsiasi scenario che implichi un comportamento umano dotato di senso e di significato è incluso in questa prospettiva. Nella condivisione simbolica, cioè nella comunicazione, si decide il senso e questo declina nelle forme della cultura.
Oggetto privilegiato di analisi diventa la cultura popolare e nello specifico i caratteri della comunicazione mediale. Nel mondo postmoderno le immagini cinematografiche e televisive pervadono la vita quotidiana, la “vampirizzazione” dei drammi della vita quotidiana degli individui che i mass media compiono lascia intendere che chi è escluso dalle rappresentazioni del sogno americano, si sente altrettanto escluso da qualsiasi opportunità di una compiuta realizzazione. Ma nonostante questa rappresentazione stereotipica della realtà che non fa alcun cenno al contatto con le persone e con le molteplici culture locali, i mass media possono offrire una possibilità di comprensione della cultura popolare. Se il rapporto tra pubblico e privato che sfocia nella rappresentazione offerta dai mass media partisse, come suggerisce Charles Wright Mills [2] nella sua Immaginazione sociologica, da un’analisi concreta e non stereotipata dei drammi delle persone che non hanno voce in capitolo si potrebbero scoprire i nodi cruciali in cui i problemi privati diventano temi di interesse pubblico.
Nell’analisi della comunicazione di massa bisogna porsi la domanda di quali siano le preoccupazioni personali chiave e i temi pubblici dell’epoca attuale per arrivare a considerare le storie dell’informazione che coinvolgono gli eroi, i criminali, le vittime nella società postmoderna, problemi quali l’Aids, i senzatetto, l’alcolismo, l’assunzione di droga e la disoccupazione. In questo modo Denzin accoglie l’invito di Mills e dell’Interazionismo simbolico e si avvicina alla vita vissuta per comprendere quello che si propone di studiare.

3. “L’esperienza vissuta” nel cinema americano
Il lavoro teorico di Denzin, in linea con quello della tradizione dei Cultural Studies, ha come obiettivo gli aspetti contraddittori e problematici dell’esperienza quotidiana dell’età contemporanea.
Egli vuole leggere “concretamente” questa cultura passando attraverso l’osservazione del cinema americano. L’obiettivo centrale che lo muove è il tentativo di identificare  un nuovo modo di intendere il compito del ricercatore. Denzin è convinto che sia necessario trascendere ogni residuo di un’epistemologia realista, imparando a fare i conti con un’esperienza sempre più simulacralizzata, in cui non c’è mai una sola interpretazione possibile, ma tante immagini della realtà che competono tra loro.
La cultura contemporanea è caratterizzata da una sovrabbondanza di icone che tendono a far coincidere i significati con i loro significanti, costringendo l’esperienza vissuta ad arretrare dietro la “corposità” apparente delle immagini televisive o cinematografiche, ma il contatto con l’esperienza insegna ad andare oltre il simulacro per vedere quali sono i problemi all’ordine del giorno. Uno di questi problemi è, ad esempio, quello dell’identità razziale, che il registra Spike Lee affronta nel film Do The Right Thing (1989).
Denzin offre una lettura molto interessante di questo film che mostra come l’identità culturale sia definita e rafforzata attraverso i segni e i prodotti mediali. Egli interpreta il film in questione come un lavoro di tipo etnografico, che racconta l’esperienza vissuta delle minoranze etniche in un ghetto. La vicenda ruota attorno alla pizzeria che un italo – americano, Sal, gestisce con i suoi figli, Pino e Vito. Il quartiere dove si trova la pizzeria è abitato in prevalenza da afro – americani, ma ci sono anche gli ispano – americani e i coreani. Ogni gruppo etnico nutre un’insofferenza, più o meno forte, nei confronti degli altri, che comunque viene repressa fino al momento della rivolta finale contro il potere “bianco”, rappresentato dalla pizzeria. Le etnie che si trovano maggiormente in opposizione sono quelle italo – americana e quella afro – americana. Le due diverse culture vengono presentate attraverso le fotografie, le quali fungono da testimoni della cultura del visibile, divenendone i veicoli e le metafore.  Attraverso le fotografie i rappresentanti dei due diversi gruppi, Sal per i bianchi e Buggin Out per i neri, cercano di imporre la propria superiorità. Inoltre in tutto il film viene presentata l’importanza di questi strumenti simbolici carichi di una valenza politica e culturale, attraverso l’apparizione sporadica di Smiley, un ragazzo afro – americano con handicap che mostra le fotografie di due figure emblematiche della cultura nera, Martin Luther King e Malcom X, presentandone così i diversi aspetti caratteristici. 
Sulla parete più grande della pizzeria sono appese le foto di personaggi italiani famosi, tra cui Frank Sinatra, Sofia Loren e Al Pacino. Un giorno Baggin Out chiede a Sal di sistemare vicino a queste foto quelle di “fratelli” neri. Il rifiuto di Sal scatena l’ira di Baggin Out, il quale cerca appoggio in Radio Raheem, un ragazzo che se ne va sempre in giro con la sua radio in spalla. Nonostante Mookie, il ragazzo di colore che lavora nella pizzeria, e sua sorella Jade cerchino di mediare tra le due parti e di omogeneizzare le diversità che esistono naturalmente in due culture diverse (metafora dell’omogeneizzazione globale che la società contemporanea predica), lo scontro si fa sempre più acceso. Sal rifiuta violentemente la proposta di un “ibrido fotografico” tra la sua cultura e quella nera. Il rifiuto di appendere le fotografie di “fratelli” neri è la negazione della visibilità della cultura rappresentata da queste icone. Sal accecato dalla sua smania di potere arriva a fracassare con una mazza da baseball lo stereo di Radio Raheem. Spike Lee interpreta il gesto in chiave simbolica, in quanto Sal “uccidendo” la radio di Raheem “uccide” la musica del ragazzo negando la sua realtà. L’assassinio del ragazzo da parte di un poliziotto rappresentato nelle sequenze finali del film è un’estensione simbolica di questo atto: Radio Raheem muore quando vengono assassinate la sua radio e la sua musica.
Il messaggio di Lee, secondo Denzin, è particolarmente significativo dal momento che sa dimostrare come le immagini e i prodotti della cultura popolare abbiano un peso politico determinante. Le identità culturali sono oggetto di una contrattazione continua giocata sul piano delle loro rappresentazioni in forma simbolica.

4. L’Interazionismo “interpretativo”
Gli oggetti di studio da sempre prescelti dall’Interazionismo sono i casi di diversità sociale [3], i quali si formano sulla base della costruzione della carriera deviante che li caratterizza. La carriera si sviluppa in base a dei turning point, ovvero punti di svolta, momenti critici, che consistono in episodi in cui il soggetto attribuisce ad una credenza, ad un desiderio, ad una volontà un cambiamento nella sua storia di vita. La costruzione dei punti di svolta risulta essere uno strumento per distinguere ciò che è idiosincratico e portatore di squilibrio. Essi servono da basi generative per la vita dell’individuo e diventano espressioni simboliche che si trasformano nelle linee di guida delle azioni degli individui. Denzin definisce questi momenti di svolta esperienze epifaniche e dice che gli interazionisti localizzano le epifanie in quelle situazioni in cui i problemi personali diventano questioni pubbliche, connettendo in questo modo il personale con lo strutturale, attraverso esperienze biografiche e personali. 
Si fa quindi presente il desiderio di un recupero del classico approccio interazionista ai problemi sociali che insieme apporti anche alcuni elementi di novità. Il tradizionale approccio interazionista è collegato con i lavori fenomenologici di Heidegger, della tradizione associata all’ermeneutica, della teoria sociale femminista, della teoria postmoderna e del metodo critico biografico formulato da C. Wright Mills, Jean Paul Sartre, Maurice Merleau – Ponty. Metodi qualitativi e metodi quantitativi si intrecciano nella ricerca di una teoria della società, che Denzin etichetta con il termine di Interazionismo Interpretativo.
Il centro di interesse rimane il significato che le persone danno a se stesse e alle loro esperienze nella costruzione del sociale, ma la comprensione della società, come azione collettiva di più individui, passa attraverso il riconoscimento di nessi tra individuale e strutturale.
La vita di un individuo non può essere compresa adeguatamente senza riferimento alle istituzioni entro le quali si svolge la sua biografia. Questa biografia registra l’assunzione, l’abbandono, il cambiamento e il passaggio da un ruolo ad un altro. Per comprendere la biografia di una persona dobbiamo comprendere l’importanza dei ruoli che essa ha assunto e assume; e per comprendere questi ruoli dobbiamo comprendere le istituzioni in cui le persone sono inserite.
L’Interazionismo Interpretativo adotta una posizione che si amplia gradualmente, a partire dalle epifanie individuali, fino ad includere riflessioni che toccano la cultura e la struttura sociale. Si tratta di una posizione “progressiva” nel senso che il metodo adottato si riferisce sempre alla dimensione temporale, storica del processo di interpretazione che sta studiando.
Nonostante Denzin proponga sperimentazioni in cui il metodo etnografico si combina con il racconto, la poesia e il teatro sostenendo che l’approccio qualitativo, interpretativo, fornisca conoscenze utili per l’impostazione di ricerche quantitative, scientifiche, denuncia, come tutti gli interazionisti simbolici, l’impossibilità di raggiungere certezze nel campo scientifico. Egli rimprovera alle scienze sociali di aver tentato di dare una lettura della società americana con pretese di verità, mentre, secondo la sua visione epistemologica, non c’è alcuna verità se non quella raccontata. Nasce da qui il bisogno di adottare un atteggiamento pluralista che nel suo processo interpretativo tenga sempre presente la provenienza ideologica e politica di ogni discorso sul sociale.

5. Etnografia ed Interazionismo simbolico: il metodo della triangolazione
5.1. Denzin e il metodo interazionista
Lo scopo principale dell’Interazionismo è trovare l’interpretazione più adeguata al processo di interazione che avviene tra gli uomini nel corso di ogni azione sociale. Gli sviluppi e gli esiti che ogni azione può intraprendere sono molteplici, di conseguenza anche le interpretazioni diventano multiformi. Il compito dello scienziato sociale è capire quale sia l’interpretazione più adatta al tipo particolare di interazione che sta studiando. Al fine di riuscire ad adempiere al proprio compito lo studioso deve prestare attenzione ai significati che ogni soggetto porta nell’azione in cui è coinvolto.
Ogni universo sociale, sosteneva Mead (1927) si perpetua, nel tempo, tramite la creazione di una prospettiva comune, o ordine simbolico, che esprime le forme basilari del pensiero e dell’azione valide per quell’universo. Dal confronto tra prospettive diverse nasce la capacità di cambiamento e l’attività creativa degli uomini. Quando una vecchia prospettiva sembra non dare più interpretazioni adeguate, l’individuo va alla ricerca di nuovi punti di vista. Questa osservazione sembra essere valida anche per la concezione del metodo scientifico di Mead. A differenza dell’uomo comune, il quale potrebbe accontentarsi di prospettive incomplete e contraddittorie, lo scienziato cerca intenzionalmente le condizioni, gli avvenimenti e le attività che siano in grado di mettere in discussione le interpretazioni fino ad allora accettate per testare l’adeguatezza della sua teoria. Il processo dialettico di confronto, analisi e nuova sintesi della prospettiva è la caratteristica fondamentale della scienza. La scienza non è altro che un processo sociale costruito su regole, le quali tengono in massimo conto la scoperta di nuove prospettive e l’accettazione o il rifiuto delle interpretazioni precedenti. La scienza, in quanto ordine simbolico, è soggetta agli stessi cambiamenti ai quali soggiace la vita dell’uomo.
Con tale affermazione Denzin risponde alla critica di tutti coloro che hanno considerato e considerano l’Interazionismo simbolico una teoria non valida scientificamente. Nel suo articolo The Spaces of Postmodernism: Reading Plummer on Blumer egli sostiene che Blumer ha cercato di creare una scienza interpretativa che sia allo stesso tempo soggettiva ed oggettiva. Essa è soggettiva nel senso che non trova dei teoremi universalmente validi per ogni realtà ed oggettiva nel senso che parte da elementi esperibili in una realtà concreta, offrendo in questo modo la stessa rigorosità delle scienze empiriche.
A tale proposito egli elenca gli assunti metodologici fondamentali dell’Interazionismo.
Innanzitutto, tenendo presente che l’analisi è centrata sul modo in cui il significato si trasforma nel corso dell’interazione, bisogna identificare le fasi dell’interpretazione conducendo studi che chiarifichino in quale momento di un incontro gli oggetti cessano di venir negoziati. Un secondo principio si riferisce specificamente al Sé, tanto come oggetto, quanto come processo che deve essere indagato. Il ricercatore si volge ad esaminare l’agire umano dalla prospettiva di quelli che sono oggetto di studi  e deve indicare i mutamenti nei significati e negli status assegnati al Sé nel corso di ogni interazione. Ad un certo punto, in qualsiasi interazione, il Sé cessa di essere un oggetto di negoziazione e acquisisce un significato accettato, dopo di che l’interazione si concentra su altri temi. I giochi di società, la routine lavorativa e anche la partecipazione a una cerimonia religiosa sembrano rappresentare occasioni del genere. Fare del Sé un oggetto privilegiato di studio consente al ricercatore di sfuggire alle illusioni dell’oggettivismo, dato che in questo modo il punto di vista dello scienziato è sostituito da quello di coloro che egli studia. Assumere il ruolo dell’altro guida ad un terzo principio, quello secondo cui il ricercatore deve collegare i simboli e i significati dei soggetti studiati ai circoli sociali e ai rapporti sociali che forniscono quelle prospettive. Se i significati non vengono collegati a più ampie prospettive sociali, l’analisi rimarrà di fatto sostanzialmente viziata di psicologismo. Ciò implica che ogni studio si deve svolgere in due fasi: i significati devono essere individuati e successivamente messi in relazione a livello sia dell’individuo che dell’interazione. Da qui il quarto principio metodologico dell’Interazionismo che sollecita i ricercatori a prendere in esame gli “aspetti situazionali” della condotta umana. Possono venire individuati quattro componenti della situazione: gli attori in quanto oggetti, lo scenario in quanto tale, i significati evocati nella situazione e il tempo evocato nella situazione. Ogni interazione si sviluppa attraverso il tempo e pertanto può essere vista come dotata di una sequenza temporale progressiva. Le persone non possono interpretare le proprie azioni senza riferirsi a quanto è accaduto precedentemente e a quanto accadrà in futuro [4].

5.2. Denzin e il metodo di Garfinkel
L’Etnometodologia rivolge la sua attenzione alla comprensione delle situazioni quotidiane di interazione per scoprire le regole e i riti che i partecipanti danno per scontati. L’interazione è costruita dalla definizione della situazione in cui rituali [5] e nuovi significati possibili si incontrano.
Negli studi di Garfinkel l’impegno costante è quello di progettare studi sul campo che introducono elementi di disordine nella realtà quotidiana. In essi sono esclusi intenti di esplorazione e illustrazione, le persone agiscono in qualità di “sperimentatori del quotidiano” trovando estremamente difficile cambiare le regole di routine dell’interazione. Garfinkel interpreta questa incapacità facendo ricorso alla categoria di fiducia, che egli definisce come la supposizione da parte di ognuno che tutti quelli che egli incontra condividano le sue aspettative e la sua definizione della situazione. L’uso di questa categoria suggerisce che, allorché uno o più attori sono costretti a non fidarsi dell’altro, le caratteristiche che costituiscono il contesto della situazione quotidiana improvvisamente divengono problematiche e presto viene meno l’organizzazione dell’azione congiunta.
Tali esperimenti, che non hanno nulla di artificiosamente costruito, si basano su osservazioni di individui nelle loro interazioni quotidiane, rappresentano studi in scala ridotta dei fondamenti del comportamento collettivo e forniscono dati circa le fasi interpretative della dinamica degli incontri.
Garfinkel costruisce delle possibili interpretazioni dell’azione dell’uomo quotidiano che dipendono dalla prospettiva di un gioco sociale. Tali modi interpretativi rappresentano un tentativo di generare una serie di strutture razionali le quali permettano l’analisi dell’azione quotidiana.
Naturalmente nella costruzione di tali schemi compariranno inevitabilmente casi non classificabili, per i quali le schematizzazioni codificate si riveleranno troppo limitate, i test statistici inappropriati, oppure le osservazioni poco o niente calzanti, in rapporto ai concetti e alle ipotesi centrali.
Riprendendo idee dalla Fenomenologia di Schutz, Garfinkel sostiene che una prospettiva di questo tipo pone come “oggetto” di studio sia i significati socialmente attribuiti ad un certo ordine di fenomeni da specifici gruppi di attori sociali, sia i processi costruttivi impiegati, attraverso cui gli stessi interpretano le attività proprie ed altrui e conferiscono ad esse un senso condiviso. Questa teoria presuppone che vi siano forme di intersoggettività e che, attraverso esse, gli attori siano in grado di comunicare tra loro. Il mondo sociale, inteso come mondo della vita costruito socialmente e costituito da strutture di senso intersoggettive, rappresenta il campo di indagine peculiare di questa prospettiva; i metodi di indagine sono quindi rivolti alle modalità di costruzione di questa realtà concettuale e sull’analisi dei resoconti delle proprie esperienze, interpretabili mediante categorie costruite e mantenute collettivamente. Tali strumenti non si configurano come semplici rivelatori di caratteristiche, ma piuttosto partecipano direttamente alla costruzione della conoscenza.
Anche gli studi etnometodologici offrono una prospettiva dell’azione umana che riconosce il ruolo complesso dell’interazione nel dare forma alle attività. Essi segnalano l’importante distinzione tra gli elementi interpretativi e non dell’azione umana e offrono criteri empirici validi per la ricerca futura. La continua trattazione dell’attività scientifica e quotidiana fornisce sviluppi interessanti per la creazione di un metodo adeguato allo studio dell’identità personale, la quale non può mai prescindere da un contesto sociale.

5.3. La triangolazione: una proposta di sintesi tra Interazionismo simbolico ed etnografia
L’uso combinato di metodi qualitativi, appartenenti ad una tradizione interazionista, e di metodi quantitativi [6], appartenenti ad una tradizione etnografica, si configura in Denzin nella costruzione di un nuovo metodo che li contenga entrambi: la triangolazione.
Partendo dal presupposto che il processo di interazione sia caratterizzato tanto da stabilità che da cambiamento (in ogni situazione si è sempre se stessi pur non agendo sempre allo stesso modo) Denzin evidenzia il fatto che le strategie di ricerca devono essere in grado di riflettere entrambi questi aspetti. In questo senso, i metodi vengono considerati come modalità per intervenire sull’ambiente. Di conseguenza, l’atto di compiere osservazioni diventa simbolico e soggetto all’inclinazione personale, al pregiudizio ed anche alle preferenze ideologiche.
Tradizionalmente l’interazionista ha privilegiato i metodi meno ortodossi dal punto di vista scientifico, quali l’osservazione partecipante e le storie di vita. Ciò ha dato luogo a critiche nei confronti di questo indirizzo teorico e ha spesso esposto i suoi sostenitori all’accusa di aver compiuto ricerche scadenti. Tale critica trascura il punto essenziale, cioè che il processo scientifico si fonda su due elementi: la scoperta e la verifica.
L’interazionista interpretativo ammette nella sua prospettiva metodologica ogni strumento di ricerca che permetta di cogliere meglio la vita di gruppo. Si possono così rivelare di grande utilità sia gli esperimenti sia l’osservazione partecipante.
Se viene data priorità al procedimento della scoperta i problemi di verifica, attendibilità e validità assumono un valore centrale. La qualità della ricerca viene giudicata attraverso i suoi elementi pubblici e attraverso l’autenticità della sua rappresentazione delle caratteristiche principali della vita dei gruppi umani. Se i problemi di verifica vengono invece posti al di sopra del procedimento di scoperta viene posto un cuneo tra le finalità e i metodi della sociologia. La verifica diventa un problema solo dopo che è stata completata la scoperta. Naturalmente scoperta e verifica non possono mai essere separate.
Il fatto che la prospettiva interazionista abbia tradizionalmente prestato una maggiore attenzione al procedimento di scoperta è visibile nell’uso dei concetti. Per l’interazionista i concetti sono di natura “sensibilizzante”. Ciò non significa che manchi l’operazionalizzazione, significa soltanto che il momento dell’operazionalizzazione è rinviato fino a quando sia stato scoperto il significato “situato” dei concetti. A questo punto possono venire impiegati gli abituali metodi di osservazione. Un’altra caratteristica di tale procedimento consiste nell’uso di molteplici metodi di osservazione. Generalmente chiamata “triangolazione” tale strategia indirizza il ricercatore ad utilizzare, ai fini della ricerca, numerosi e diversi strumenti. La logica che sorregge tale impostazione è che nessun metodo preso isolatamente può affrontare adeguatamente l’insieme delle questioni di scoperta e verifica. Ogni metodo ha dei limiti e se nel medesimo studio ne vengono impiegati diversi i limiti di uno strumento possono risultare la forza di un altro.
Le tecniche dell’osservazione diretta, dell’intervista focalizzata, dell’analisi indiretta del comportamento e della quasi sperimentazione vengono usate contemporaneamente in una sintesi di modelli statistici e teorici del campionamento. Le regole rigorose della teoria del campionamento devono essere combinate con le tecniche teoricamente più flessibili di un campionamento sui concetti.

 

Note

[1] Il tentativo di comprensione del mondo sociale a partire dai processi simbolici che coinvolgono gli individui verte sul principio epistemologico del rifiuto dei modelli esplicativi totalizzanti. Denzin, infatti, in Symbolic Interactionism e Cultural Studies sostiene che il termine “società” è un’astrazione che si riferisce a qualcosa che i sociologi hanno inventato con la finalità di avere un argomento. La società è un qualcosa che è vissuto nel qui e ora, nelle interazioni faccia a faccia che connettono le persone le une con le altre, quindi non può essere trasformata in un concetto generale.

[2] Mills è il sociologo da cui Denzin trae maggiore ispirazione.

Anche Denzin come i padri fondatori della teoria interazionista sceglie di studiare i soggetti più emarginati dalla società.

[3] Mead avrebbe detto che non si possa agire senza assumere il ruolo dell’altro ed immaginare come egli possa reagire.

[4] A riguardo risulta importante il pensiero di Erving Goffman..

[5] Bisogna stare attenti quando si parla di metodi quantitativi della tradizione interazionista. Infatti si fa sempre riferimento ad un’approccio idiografico e mai nomotetico, in cui i dati quantitativi sono considerati come risorse da cui partire e mai come dati certi e stabili.


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