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In quella piramide bloccata ristagna la classe dirigente
Luciano Gallino“LA REPUBBLICA” 9 Giugno 2006
Molti scendono, pochi salgono. La quota di laureati è tripla nei ceti alti
LA RICERCA del Censis sulla mobilità sociale in Italia dice in sostanza che se uno nasce in una famiglia operaia, è molto probabile che muoia operaio. Al massimo può sperare di diventare impiegato. Ma non in forza del proprio talento o dell'impegno profuso negli studi e sul lavoro. Piuttosto perché in una società dove gli operai diminuiscono mentre gli impiegati aumentano, per via della modernizzazione dell'economia, è inevitabile che un certo numero di figli di operai si ritrovi nella classe degli impiegati.
Invece solo una piccola parte di essi, meno dell'8%, riesce con le proprie forze a scalare la piramide sociale sino a entrare nella classe alta della borghesia, formata da dirigenti, imprenditori, professionisti.
In realtà dal punto di vista della ricerca questa è una non-notizia, poiché la elevata immobilità sociale degli operai, da una generazione all'altra, è nota da tempo. Semmai ciò apparirà come una novità per la vasta pubblicistica che negli ultimi anni, mentre esagerava nell'additare i segni del declino numerico della classe operaia, dava per scontato che i suoi figli erano ormai diventati quasi tutti docenti universitari o titolari di imprese della net economy.Al contrario emerge come affatto inedito, nella ricerca del Censis, il dato relativo alla borghesia. Giusto il 40% dei figli della generazione precedente risulta tuttora far parte della classe dei padri. Tuttavia oltre il 50% di essi pare aver disceso un consistente gradino della piramide, passando dalla borghesia propriamente detta alla piccola borghesia urbana e alla classe media impiegatizia.
Si diceva ancora di recente che era la classe media a temere di non riuscire ad assicurare ai propri figli il mantenimento nella propria stessa classe sociale. I dati Censis mostrano invece che nell'avvicendamento delle generazioni è la maggioranza di quelli che stanno più in alto ad aver visto i suoi figli scendere un poco più in basso. Anche se, in assoluto, l'entità numerica della borghesia del piano di sopra è assai minore di quella del piano di sotto.
La società che viene ritratta da questa ricerca è dunque una società in cui, tra una generazione e l'altra, pochi salgono effettivamente nella scala sociale, parecchi scendono, e molti - oltre il 40% - restano dove sono. Non è un quadro positivo, anche se spiega diverse cose.
Spiega, ad esempio, la stagnazione delle idee, delle forme di pensiero, nella maggior parte dei campi della nostra cultura, perché le idee circolano e si innovano quando una quota elevata di persone circola sulla scala sociale, molti scendendo, molti altri salendo dal basso ad occupare posizioni ben superiori a quelle di partenza.
Spiega pure la mancanza di un largo ricambio generazionale che si osserva nel personale politico come tra gli imprenditori, perché se sono pochi i giovani, i nuovi talenti che dalle altre classi salgono ad occupare posizioni significative nei loro rispettivi ranghi, è inevitabile assistere, come avviene, ad elezioni che paiono regolarmente simili a quelle di dieci anni prima, ed a tassi piuttosto modesti di innovazione nel creare e sviluppare imprese.
Ovviamente, se da un lato i risultati di questa ricerca sulla mobilità sociale che non c'è aiutano a spiegare la stagnazione delle idee e la mancanza di ricambio delle classi dirigenti, essi stessi chiedono di essere spiegati. Una spiegazione la fornisce lo stesso rapporto del Censis. Esso dice anzitutto - cito - che la quota di laureati tra i figli dei borghesi è tripla rispetto al totale del campione, e di circa sei volte superiore a quella che si registra tra i figli della classe operaia urbana; dopodiché nota che la possibilità stessa di entrare nel mercato del lavoro appare tuttora fortemente condizionata dalla classe di origine.
Dunque i titoli di studio contano davvero, al fine di salire ai piani alti della piramide sociale, ma chi sta in basso appare in serie difficoltà per procurarseli. Per diversi motivi che vanno cercati altrove. Un motivo attiene all'economia. Quando milioni di famiglie ricavano dal lavoro di due persone un reddito giusto sufficiente per un'esistenza dignitosa, appena i figli arrivano a conseguire un diploma, se mai ci arrivano, chiedono loro di trovarsi un lavoro qualunque. Altro che sostenerli per fargli conseguire una laurea specialistica, o un master in tecnologia dei nuovi materiali.
Un secondo motivo rientra in pieno nella politica. La mobilità sociale ascendente risulta storicamente elevata, in tempo di pace, quando la politica se ne occupa ed elabora i mezzi per attivarla. Mentre una politica per la quale espressioni tipo giustizia sociale, redistribuzione dei redditi, o lotta alle disuguaglianze non si possono profferire nemmeno in un gruppo di amici, perché sono giudicate o superate oppure un rischio per la carriera, appare scarsamente attrezzata per affrontare compiti del genere.
(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)