Il nuovo paradigma della globalizzazione

Anthony Giddens

La Repubblica, 8 Novembre 2006

La globalizzazione dell´economia è stata così intensamente dibattuta negli ultimi anni che è forte la tentazione di pensare niente di originale possa essere aggiunto. Ma un tale ragionamento sarebbe sbagliato.
Chiunque sia interessato ad approfondire l´argomento di come la globalizzazione sta cambiando la nostra vita e le nostre economie farebbe bene a riflettere sul recente lavoro di un gruppo di eminenti economisti dell´università di Princeton, i professori Gene Grossman, Alan Blinder e altri loro colleghi, con la collaborazione di Richard Baldwin, saggista inglese che lavora a Ginevra.
In questo studio si formula ciò che gli autori hanno chiamato il "nuovo paradigma" della globalizzazione, un paradigma che rappresenta la sfida di una nuova e distinta fase nell´evoluzione dell´interdipendenza economica del mondo.
Da un certo punto di vista, si può dire che la globalizzazione è un insieme di distinti processi di "attribuzione del prezzo delle merci e dei servizi" delle attività economiche. Con l´inizio del Diciannovesimo secolo, la drastica riduzione del costo del trasporto implicò che i beni non dovessero più essere prodotti vicino al luogo dove erano consumati.
Dagli anni Settanta circa in poi, l´ulteriore salto nella semplificazione delle comunicazioni e del trasporto, ha reso possibile scollegare e realizzare in luoghi diversi le varie fasi del processo manifatturiero.
Le aziende transnazionali hanno sviluppato una divisione globalizzata del lavoro, grazie alla quale le varie parti che compongono un prodotto manifatturiero finito e assemblato possono essere realizzate in paesi diversi.
Ora, dicono Grossman et altri, ci troviamo di fronte a una nuova fase del processo di attribuzione del prezzo delle merci e dei servizi risultante dai nuovi processi di delocalizzazione elettronica e riguardante il settore dei servizi e non più quello manifatturiero.
Questa non sarebbe una novità, perché sappiamo tutti bene, ad esempio, come i call center (di lingua inglese) siano stati delocalizzati in India e sicuramente molti di noi hanno parlato con persone che vi lavorano chiedendo orari dei treni o altro.
La delocalizzazione elettronica è destinata tuttavia a incidere in maniera assai più profonda dei call center, dicono gli autori. Per essere delocalizzato, un posto di lavoro nei servizi dovrebbe avere le seguenti quattro caratteristiche: prevedere un uso intensivo di information technology, riguardare un prodotto trasmissibile via IT, includere mansioni che possono essere codificate e richiedere poca o nessuna interazione diretta tra gli interessati.
Stando a questi criteri, potrebbe essere classificato come "delocalizzabile" il 20 per cento di posti di lavoro delle economie occidentali. La delocalizzazione è la base del nuovo paradigma della globalizzazione. Il "vecchio paradigma", quello prevalso negli ultimi trent´anni, ha riguardato interi settori dell´economia o intere aziende appartenenti a questi settori.
Gli Stati Uniti e l´Europa avevano cominciato a perdere competitività, ad esempio, nella siderurgia e nell´acciaio, nella cantieristica, e via dicendo. I cambiamenti conseguenti hanno avuto un profondo effetto sul modo di ragionare sul futuro degli uomini politici e dei legislatori.
Tra i settori più competitivi delle economie avanzate sono stati considerati dunque l´high-tech e quelli che richiedono un alto livello di conoscenza, come la farmaceutica o le biotecnologie; tra quelli meno competitivi, i settori che prevedono una manodopera non qualificata o con un livello di qualificazione medio.
L´Agenda di Lisbona, il programma ufficiale della Ue per migliorare la competitività europea, ad esempio, assume esplicitamente questo punto di vista. Dobbiamo espandere e alzare il livello della qualificazione della manodopera per restare competitivi laddove la bassa manifattura sta diventando terreno esclusivo delle società che hanno un costo del lavoro più basso.
Questi cambiamenti sono visti come parte del passaggio da un´economia di tipo industriale a un´economia dei servizi. La formulazione del "nuovo paradigma", tuttavia, permette di mettere in questione alcune idee chiave di questo approccio.
In questa successiva fase della globalizzazione, la concorrenza a livello mondiale si dà a livello del singolo posto di lavoro o del tipo di posto di lavoro, più che a livello settoriale o degli scambi.
In altre parole, lo stesso tipo di lavoro può essere delocalizzato tra aziende e tra settori di tipo ampiamente vario. In futuro sarà quindi meno utile individuare i vincitori o gli sconfitti della globalizzazione in termini di settore di appartenenza o addirittura per livello di qualificazione.
Le conseguenze di ciò possono avere potenzialmente un grande impatto. Sarà molto più difficile prevedere chi saranno i vincitori e chi gli sconfitti. Alcuni singoli soggetti dei settori più competitivi degli Stati Uniti o dell´Europa potrebbero benissimo non essere vincenti man mano che si procede. e i vincenti non avranno necessariamente un´istruzione o una qualifica di alto livello, perché il loro successo dipenderà dal compito che devono svolgere, non già dalla competitività generale dell´azienda o del settore, e neppure dal loro livello d´istruzione.
Per molti lavori, il compenso è determinato (attualmente) dal fatto che essi non sono soggetti a una concorrenza internazionale. Un tassista londinese guadagna più di un tassista di Manila, ma non perché svolga meglio il suo lavoro, bensì perché la natura stessa del guidare un taxi non rende questo lavoro passibile di essere realizzato altrove.
E rimarrà tale finché qualcuno non scoprirà un modo di condurre i taxi a distanza. Lo stesso non vale però in assoluto per una serie di mansioni del lavoro negli uffici, negli ospedali o nelle banche, ritenuti finora al riparo dalla concorrenza diretta di lavoratori di altre regioni del mondo.
Le possibilità in questo senso sono innumerevoli e devono ancora essere analizzate, perché si tratta di processi che in precedenza non erano stati colti o capiti. Si prenda ad esempio il lavoro dei chirurghi.
Gli interventi realizzati a distanza, con medici che si trovano a migliaia di chilometri dal paziente, saranno, questo è certo, sempre più frequenti. Per un chirurghi sarà possibile eseguire più interventi di quelli che poteva fare quando lui o lei era confinato a un particolare ospedale.
Se questo si avvererà, i bravi chirurgi saranno molto più richiesti di quelli meno bravi, che a loro volta vedranno diminuire il proprio reddito, se non addirittura sparire la propria fonte di guadagno del tutto.
La globalizzazione aiuterà un lavoratore qualificato a scapito di un altro lavoratore qualificato, anche se entrambi apparterranno a un settore nel quale i paesi occidentali hanno un vantaggio competitivo.
La delocalizzazione ha riguardato finora solo una piccola percentuale dei posti di lavoro delle economia avanzate, quindi, quanto detto sopra è ancora in una fase relativamente speculativa. Ma vi si possono derivare alcune chiare implicazioni politiche.
Dove possibile, la formazione non dovrebbe essere troppo specialistica, perché quel che conterà di più sarà la flessibilità e l´adattabilità, sia a livello aziendale sia a livello di forza di lavoro in generale. Non saranno probabilmente i lavoratori non qualificati o quelli con una qualifica media a dover fare i maggiori aggiustamenti, come è stato dimostrato nel periodo recente.
Il lavoro di commesso o commessa non può essere delocalizzato, com´è invece il caso di molte mansioni più qualificate. Occorre cominciare subito a rivedere il nostro pensiero su queste questioni.

(copyright traduzione di Guiomar Parada)


Phoenix