Il socialismo è morto, ma la sinistra no

Anthony Giddens

La Repubblica, 29 Agosto 2006

Il socialismo è morto. La data precisa del decesso è nota - il 1989 - ma già da tempo la sua salute era malferma. Per tutta la durata della sua storia il termine stesso di "socialismo" è stato conteso e rivendicato da gruppi politici d'ogni sorta, dai comunisti agli anticomunisti. La storia della sinistra è costellata di infinite dispute sul suo significato. In passato, la principale linea di demarcazione passava tra la sinistra rivoluzionaria e quella riformista.
La prima non credeva nella possibilità di una trasformazione della società attraverso i metodi parlamentari. In tempi relativamente recenti, il libro di Ralph Miliband Socialismo parlamentare è stato considerato un testo chiave, largamente adottato dalle università in molte parti del mondo. Secondo le tesi di Miliband, una società socialista non avrebbe potuto nascere attraverso una vittoria elettorale, ma solo per vie extraparlamentari, dato che i socialisti dovevano trasformare lo Stato in quanto tale. Altri esponenti della linea rivoluzionaria, di tradizione sia leninista che trotzkista, mantenevano però un atteggiamento meno categorico di quello di Ralph Miliband nei confronti della "democrazia borghese".
Per converso, e a partire dall'opera di Eduard Bernstein, il socialismo riformista si era proposto di conseguire il cambiamento sociale passando per il parlamento e per la democrazia elettorale. Quasi tutte le attuali formazioni di centro-sinistra hanno origine da figure fondatrici della stessa area. Una delle maggiori ironie della storia è il fatto che il socialismo rivoluzionario, determinato a trasformare profondamente il mondo e apparentemente impegnato in quest'opera per mezzo secolo, è scomparso quasi senza lasciare traccia.

Ormai continua ad esistere solo in regimi che hanno dimostrato di non avere un futuro, come quello cubano, o sopravvive come una flebile eco in paesi quali la Cina o il Vietnam.
La stessa idea di un superamento del capitalismo attraverso una rivoluzione politica laica è quasi del tutto scomparsa. La sinistra estrema di oggi si definisce solo in termini di contrapposizione - a volte "anti-capitalista", ma più spesso "no global". Se si eccettua l'Islam radicale, i rivoluzionari in politica ormai non esistono più. Perché l'idea centrale che ha fatto da propulsore al socialismo rivoluzionario, la nozione alla base della definizione stessa del socialismo - l'idea cioè che un'economia controllata e rispondente ai bisogni umani possa sostituirsi ai meccanismi dei prezzi e del profitto - una volta messa alla prova, è fallita dovunque. Era un'idea sbagliata.
Il socialismo riformista ha creduto in un'economia mista. Ha ritenuto possibile imbrigliare le irrazionalità del capitalismo riservando allo Stato un ruolo parziale nella vita economica. I "settori chiave" dell'economia - quali i trasporti, le comunicazioni, l'industria siderurgica, il carbone e l'energia elettrica - dovevano rimanere sotto il controllo dello Stato. Dopo la seconda guerra mondiale, per vari decenni in Occidente questo "compromesso" era sembrato in grado di funzionare: non però grazie ai meriti del socialismo di per sé, bensì per quelli della teoria economica formulata da un liberale, John Maynard Keynes. Lo Stato ha potuto così esercitare sull'economia un controllo generale regolando la domanda, mentre il welfare forniva una rete di sicurezza quando le cose non andavano per il verso giusto.

Oggi la domanda chiave è se anche questo tipo di socialismo sia morto. La mia risposta è un chiaro sì: non vi sono eccezioni alla netta, inequivoca constatazione con cui ho iniziato quest'articolo. Il più delle volte, lo stato ha dimostrato la sua inadeguatezza nella conduzione diretta delle imprese. D'altra parte, la gestione della domanda in senso keynesiano ormai non è più efficace, e può anzi diventare controproducente nel contesto di un mercato globale.
Cosa rimane dopo la fine del socialismo? O in altri termini, cosa resta della sinistra? (NdT: in inglese la domanda è un bisticcio: what is left of the left?) Ricordo le interminabili discussioni su questi temi ai convegni degli anni '90. Le risposte (almeno a mio modo di vedere) sono oggi più chiare di allora. La sinistra è sopravvissuta alla fine del socialismo. Esiste una chiara linea di discendenza dal socialismo riformista agli attuali partiti di centro-sinistra, ma in termini di valori assai più che politici. La sinistra sostiene una serie di valori quali l'egualitarismo, la solidarietà, la tutela dei più vulnerabili, così come la convinzione che l'azione collettiva sia necessaria all'efficace perseguimento di questi obiettivi. Il concetto di "azione collettiva" è riferito non solo al ruolo dello Stato, ma anche a quello di altri organismi della società civile.
Tuttavia oggi la sinistra non può più definirsi semplicemente negli stessi termini del socialismo d'un tempo, come la via per limitare i danni inflitti dai mercati alla vita sociale. Se è vero che il capitalismo ha tuttora bisogno di regole, oggi il compito dei governi è quello di favorire un miglior funzionamento dei mercati, di espandere il loro ruolo, piuttosto che ridurlo. Non ha senso contestare come antioperaia la politica di liberalizzazione del mercato del lavoro, che con ogni ragione il nuovo governo italiano sta tentando di portare avanti. L'attuale compartimentazione del mercato del lavoro in Italia non contribuisce minimamente a promuovere la causa della giustizia sociale, ma rappresenta al contrario uno dei fattori di aumento della disoccupazione, oltre ad aggravare l'insicurezza di chi lavora nei settori informali e non protetti. Nei paesi scandinavi, che in Europa hanno raggiunto il grado più elevato di giustizia sociale, il mercato del lavoro è stato oggetto di riforme radicali.
La sinistra non può più definirsi in contrapposizione alle riforme del welfare. Come ho già ricordato, lo stato sociale è nato come rete di sicurezza, che subentra quando si perde il posto di lavoro, si divorzia, ci si ammala o si invecchia. Alcune di queste funzioni permangono, ma oggi il welfare deve assumere sempre più le caratteristiche di un meccanismo di investimento sociale. In un'era di libertà individuali e di aspirazioni sempre maggiori, dobbiamo investire nelle persone per aiutarle ad aiutarsi da sé. Il sistema scolastico dev'essere riqualificato in maniera radicale per consentirci di affrontare un mondo sempre più competitivo; e occorre inoltre facilitare l'accesso a un'istruzione superiore di alta qualità, e aprire percorsi formativi anche alle fasce di età più avanzata.
La sinistra non può più definirsi nei termini di una concezione classica delle libertà civili. Non è di destra ammettere che la criminalità e il disordine sociale rappresentano un grave problema per molti cittadini. Non è di destra sostenere che l'immigrazione dovrebbe essere controllata, o chiedere agli immigrati di farsi carico di una serie di responsabilità civili, ivi compreso l'obbligo di apprendere la lingua nazionale.
Non è di destra cercare di dare risposte efficaci al terrorismo. Le nuove minacce terroristiche cui le società occidentali devono far fronte non sono paragonabili a quelle dei tempi delle Brigate rosse, o al terrorismo "locale" dell'IRA o dell'ETA. Il terrorismo di tipo nuovo è più globale, e potenzialmente di gran lunga più letale. Il diritto di sentirsi al sicuro dalla violenza terroristica è di per sé una libertà importante, che va ponderata rispetto alle altre. Infine, la sinistra ovviamente non può più definirsi in contrapposizione alla democrazia parlamentare. Il multipartitismo ha i suoi difetti, ma l'alternativa non può essere il cosiddetto "Stato del popolo". La rappresentanza popolare di stampo sovietico si è dimostrata tutt'altro che democratica. Oggi la sinistra deve dare la sua piena adesione al pluralismo, sia in campo politico che nel più ampio contesto sociale.
Sono favorevole all'idea della creazione di un partito unificato della sinistra in Italia. Non se so in pratica ciò sarà possibile: dopo tutto, in passato la sinistra è stata ripetutamente affondata dalle scissioni e divisioni al suo interno. Ma credo che la sinistra post-socialista possa e debba essere più ecumenica di quanto tendesse a esserlo la sinistra radicale. E' necessario continuare a innovare in politica, per poter essere in grado di portare avanti i valori della sinistra in un mondo di massicce trasformazioni sociali. Ma l'innovazione politica può nascere solo dal libero scambio delle idee, non certo da un chiuso dogmatismo.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)

( 29 agosto 2006 )


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