La scatola degli attrezzi di Thomas Kuhn

Mario Porro

“Il manifesto ” 12 Settembre 2000.

Lo storico delle scienze è un narratore che deve cominciare il suo racconto preparando la scena, cioè descrivendo le convinzioni e specificando il vocabolario degli attori del passato. Deve affrontare problemi di traduzione, nella consapevolezza che nelle scienze, come in letteratura, le difficoltà di traduzione hanno la stessa causa, cioè l'incapacità del linguaggio di conservare le relazioni strutturali fra le parole

Nell'epistemologia del Novecento la prospettiva neopositivista e quella di Popper risultano per molti versi analoghe; entrambe condividono una concezione unitaria del metodo scientifico, prestano più attenzione alla giustificazione delle teorie che alla loro scoperta, inseguono un criterio di demarcazione fra scienza e non scienza, muovendo dalla premessa che si possano distinguere aspetti osservativi e teorici. Come osservano Giovanni Boniolo e Paolo Vidali in Filosofia della scienza (edito da Bruno Mondadori), è con la "nuova filosofia della scienza", in particolare con Kuhn e Feyerabend, che tali presupposti vengono sottoposti a critica radicale, grazie all'innesto degli strumenti critici emersi dalle pagine dell'ultimo Wittgenstein. Nel caso di Kuhn, è la storia della scienza ad offrirsi come luogo di confronto delle tesi epistemologiche: la storia doveva essere considerata "come qualcosa di più che un deposito di aneddoti o una cronologia", si diceva in La struttura delle rivoluzioni scientifiche (1962), non poteva ridursi a serbatoio di esempi che confermassero l'immagine del progredire del sapere per congetture e confutazioni (del resto, proprio Popper ci ha spiegato che chi cerca conferme le trova sempre).
La scienza dimentica facilmente il proprio passato, tende ad interpretarlo alla luce del presente, sulla base del "paradigma" del giorno; si finisce così per veicolare l'idea che la scienza proceda in modo lineare e cumulativo, da antichi precursori a futuri eredi. Ma, se proviamo a leggere gli scritti scientifici del passato inseguendone la coerenza interna e nel loro contesto culturale, scopriamo che non sempre gli antichi concetti si riferivano alle stesse realtà a cui si rivolgono oggi. E' come se, prima di Copernico o di Einstein, si guardasse il mondo in modo diverso da oggi, si vedesse un'anatra là dove noi vediamo un coniglio, per riprendere la figura ambigua, resa nota dagli studiosi della Gestalt e ripresa nelle Ricerche filosofiche di Wittgenstein. Proprio questi mutamenti percettivi, questi slittamenti di significato, ci impongono di riconoscere l'esistenza di rivoluzioni scientifiche: la storia delle scienze è percorsa da fratture, da discontinuità, e la variazione di un paradigma trasforma i fatti stessi presi in considerazione (l'energia e la materia non sono più la stessa cosa dopo Einstein).
Non esiste dunque una base comune, un identico mondo osservabile, che possa fungere da terreno di confronto fra le teorie; dall'attenzione filologica alla storia delle scienze emergeva così quella nozione di incommensurabilità fra teorie o paradigmi, a cui negli stessi anni giungeva Feyerabend. Gran parte della riflessione successiva di Kuhn, fino alla morte nel 1996, cercherà di chiarire tale nozione, come attestano i saggi raccolti in Dogma contro critica, due dei quali risalgono ai primi anni Sessanta, gli altri agli anni Ottanta e Novanta. Il libro (con prefazione di Paul Hoyningen-Huene, a cura di Stefano Gattei, edito da Cortina) comprende anche due lettere in cui un Feyerabend ancora popperiano commenta le bozze della Struttura delle rivoluzioni scientifiche: ci viene così restituito il dialogo che avrebbe dovuto svolgersi al Bedford Colloquium del 1965 (il convegno da cui avrà origine il volume ormai classico Critica e crescita della conoscenza Feltrinelli), in cui all'intervento di Kuhn, "Dogma contro critica", avrebbe dovuto seguire quello di Feyerabend (assente per motivi di salute), dal titolo rovesciato, "Critica contro dogma".
Le obiezioni di Feyerabend scivolano spesso dall'ambito teorico a quello in senso lato politico, anche col ricorso alla nozione marxiana di ideologia; da esse emerge l'immagine di Kuhn come indagatore della "scienza normale" più che di teorico delle rivoluzioni, un'immagine che le opere successive (si veda in particolare il saggio che dà il titolo alla raccolta La tensione essenziale, Einaudi) finiranno per confermare. Il "necessario preliminare" alla rivoluzione kuhniana è il dogmatico rispetto delle norme accolte dalla comunità, l'osservanza rigorosa di un paradigma che caratterizza la scienza normale: "lo scienziato produttivo, per essere un innovatore ..., deve essere un tradizionalista cui piace giocare complicati giochi secondo regole prestabilite". La garanzia del successo delle comunità scientifiche è la resistenza al nuovo, l'adesione al "pensiero convergente": la spregiudicata ricerca della verità, il "pensiero divergente", flessibile e critico, assolve la sua funzione nella fase rivoluzionaria, ma solo l'accettazione di quanto appreso nel corso dell'addestramento professionale consente di scorgere quali anomalie intaccano le teorie dominanti. Le discontinuità che spezzano la linearità apparente del cammino delle scienze sorgono solo sullo sfondo di una tradizione di ricerca consolidata; come nel lessico della teoria delle catastrofi di Thom, è la stabilità strutturale a preparare il terreno della morfogenesi.
Per Kuhn, è l'abbandono del discorso critico a segnare la transizione alla scienza matura, nella quale si è formata una ortodossia indiscussa; per Feyerabend, solo disponendo di paradigmi alternativi le anomalie diventano avvertibili. Meglio dunque la proliferazione di teorie che possano reciprocamente criticarsi piuttosto della "normalità" di un consenso dogmatico; "rivoluzione permanente" è lo slogan con cui Feyerabend, radicalizzando l'ideale dei controlli critici di Popper, si avviava a far scivolare il criterio liberal della proliferazione di concezioni verso l'anarchismo del "tutto va bene". La "società chiusa" degli scienziati normali appare incompatibile con la società libera (o aperta), che dovrebbe fare della città della scienza il modello della democrazia; per il Feyerabend popperiano di quegli anni la falsificabilità o controllabilità resta comunque il criterio per distinguere fra scienza e follia, fra adesione critica e dogmatismo.
I saggi raccolti in Dogma contro critica permettono inoltre di apprezzare un significativo mutamento nella scatola degli attrezzi kuhniani: il lessico della psicologia (gestaltica o piagetiana) e della sociologia cede il passo a quello della linguistica e della critica letteraria (anche per la vicinanza con Noam Chomsky, al Mit di Boston, dove Kuhn insegna dal '79). Se i paradigmi forniscono i filtri, gli a priori della conoscenza (era proprio Kuhn a proclamarsi "un kantiano con categorie mobili"), l'incommensurabilità non è più conseguenza dei modi diversi di percepire il mondo, ma dell'adozione di differenti vocabolari concettuali: diviene una sorta di intraducibilità. Le rivoluzioni mutano la struttura lessicale, e dunque cambiano i sistemi di classificazione, la tassonomia utilizzata dagli scienziati; gli oggetti vengono ridistribuiti secondo categorie differenti, la Terra e la Luna entrano in nuove relazioni di somiglianza dopo Copernico, la caduta dei gravi entra in nuovi insiemi di fenomeni dopo Galileo. Pur non esistendo una possibilità completa di traduzione, la comunicazione fra paradigmi resta garantita da una condizione analoga al bilinguismo: "lo storico diventa bilingue", consapevole che per alcuni termini non si dà traduzione ottimale, che bisogna ricorrere a perifrasi, ad imperfette corrispondenze. Dalla storia delle scienze Kuhn entra così in un labirinto teorico su cui la filosofia, in particolare di tradizione analitica, si è a lungo soffermata negli ultimi decenni, basti pensare a Putnam e a Quine. Lo storico delle scienze è un narratore che deve dare inizio al suo racconto preparando la scena, cioè descrivendo le convinzioni e specificando il vocabolario degli attori del passato; "come gli altri insegnanti di lingue", lo storico deve affrontare problemi di traduzione, nella consapevolezza che nelle scienze, come in letteratura, le difficoltà di traduzione hanno la stessa causa, cioè l'incapacità del linguaggi di conservare le relazioni strutturali fra le parole. Cambiando lingua, mutano anche le relazioni fra le cose.
Era Kuhn stesso a proclamarsi sostenitore di un "kantismo postdarwiniano". Popper utilizzava la metaforica darwiniana della competizione e della selezione per spiegare l'evoluzione delle teorie scientifiche. Il Kuhn degli anni ottanta appare contemporaneo della teoria degli equilibri punteggiati: sviluppo scientifico ed evoluzione biologica condividono lo stesso modello, uno schema di ramificazione ad albero, dove l'aspetto rilevante non è il processo di mutazione, ma quello di speciazione.
Gli episodi rivoluzionari sono spesso associati ad un incremento delle specializzazioni nella scienza; i fatti sono interpretati secondo una grana via via più fine, grazie ad una struttura lessicale più minuziosa, ma il rischio è di rinchiudersi in nicchie sempre più isolate. Il progresso nella scienza è sempre accompagnato da una perdita, da un restringimento di settori e competenze, che limita la comunicazione; ma tale progresso non è un cammino verso la verità, un crescente approssimarsi alla corrispondenza con la realtà. Possiamo dire soltanto a partire da che cosa procediamo; la kantiana cosa in sé resta inconoscibile.


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