Giambattista Vico. Biografia (da wikipedia)

Figlio di un modesto libraio, Vico studiò diritto presso l'Università di Napoli, dove poi insegnò eloquenza e retorica dal 1699 al 1741 (pur avendo aspirato a una più prestigiosa cattedra di giurisprudenza, dovette limitarsi alla docenza di retorica, che prevedeva uno stipendio molto ridotto, che Vico integrò per diversi anni offrendo lezioni private). Contribuì notevolmente alla sua formazione il ruolo di precettore presso il marchese Rocca, nel castello di Vatolla in Cilento, ruolo che svolse dal 1689 al 1695 e che gli permise di accedere alla imponente biblioteca del suo ospite, dove si trovavano opere di Agostino, Ficino, Pico della Mirandola, ma anche Botero e Bodin (teorici del giusnaturalismo) e Tacito. Dalla sua attività di docente derivano le sei Orazioni inaugurali scritte per l'apertura degli anni accademici dal 1699 al 1707, alle quali se ne aggiunge un'altra più nota ed importante delle altre, che reca il titolo De nostri temporis studiorum ratione (Il metodo degli studi del nostro tempo), recitata nel 1708 e pubblicata l'anno successivo; al 1710 risale invece la sua prima opera metafisica, ossia il De antiquissima italorum sapientia (L'antichissima sapienza delle popolazioni italiche).

Nella sua Autobiografia (pubblicata nel 1725) Vico cita come fonte ispiratrice della sua Scienza nuova, la metafisica delle idee platoniche, il realismo dello storico da Tacito, il metodo induttivo di Francesco Bacone , il giurista Ugo Grozio per l'abbinamento fra filosofia e filologia. Il suo intento è di mettere in relazione il mondo ideale e quello reale, allineando filosofia(che si occupa della verità) e filologia(che si occupa della certezza, come metodo storico e documentale), alla ricerca della genesi ideale del mondo civile.


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