Da “L'Unità” di mercoledì 4 aprile 2007.

Se parli bene vivi bene”, la lezione seria e ironica di Paul Watzlawick

Paolo Gangemi

“Paul Watzlawick aveva lo stile intellettuale proprio dei grandi del Novecento. Da un lato è stato una delle personalità fondamentali del pensiero del secolo scorso, dall’altro aveva un modo originale di trattare la cultura, senza prenderla troppo sul serio”. Così Omar Calabrese, professore di semiotica all’Università di Siena, ricorda Paul Watzlawick, filosofo, sociologo e psicologo austriaco morto a Palo Alto, in California, a 85 anni, dopo una lunga malattia. Considerato come uno dei più grandi studiosi nel campo della comunicazione, Watzlawick era nato a Villach, in Austria (non lontano da Tarvisio), il 25 luglio 1921. Dopo aver studiato filologia e filosofia all’Università di Venezia, laureandosi con una tesi sulla filosofia del linguaggio e la logica, ha proseguito gli studi all’Istituto Carl Gustav Jung di Zurigo, per poi trasferirsi negli Stati Uniti.
Dagli anni Sessanta è stato uno degli esponenti di spicco della Scuola di Palo Alto, la corrente di psicologia e psichiatria che prende il nome dalla località dove si trova il Mental Research Institute fondato da Don Jackson negli anni Cinquanta. Proprio insieme a Don Jackson e all’altra collega di Palo Alto Janet Helmick Beavin, Watlawick ha scritto nel 1967 una delle sue opere più importanti: Pragmatica della comunicazione umana. Studio dei modelli interattivi, delle patologie e dei paradossi. Dal 1976 Watzlawick era anche professore al Dipartimento di psichiatria e scienza comportamentale dell’Università di Stanford, sempre in California.
“L’ho incontrato un paio di volte a Milano”, ricorda Calabrese, “e posso dire che oltre che dal punto di vista intellettuale era eccezionale anche dal lato umano: era spiritoso e sempre disponibile, anche con gli studenti. Non aveva neanche un briciolo di arroganza intellettuale. Considero un privilegio averlo potuto conoscere di persona”.
La teoria della comunicazione elaborata da Watzlawick si basa su cinque assiomi, che nel suo modello sono alla base di ogni forma di comunicazione. In particolare il primo assioma è stato citato abbondantemente, tanto da diventare forse la sua frase più nota: “In una situazione sociale non si può non comunicare”. Con questo Watzlawick vuol dire che non appena due persone si trovano a contatto, una qualche forma di comunicazione è inevitabile: anche solo la decisione di non parlare o non muoversi porta con sé una forma di comunicazione, e così la posizione che uno assume e il punto dove guarda. Insomma, ogni comportamento ha un carattere sociale. Gli studi di Watzlawick sono alla base di molti sviluppi in diverse branche: le sue opere infatti costituiscono un ponte fra filosofia e sociologia, fra psichiatria e cibernetica.
Dal punto di vista psicoterapeutico, una delle innovazioni più rilevanti della scuola di Palo Alto è il modello chiamato della “terapia breve”. Secondo questo metodo il paziente può essere indotto dal terapista a cambiare la propria percezione della realtà senza rendersene conto. Questo approccio si contrappone alla maggior parte delle scuole psicoterapiche, basate sulla consapevolezza da parte del paziente delle cause dei problemi, e permette di “aggirare” la resistenza che il paziente naturalmente oppone, e quindi di ottenere risultati terapeutici in tempi più brevi.
I 18 libri scritti da Watzlawick sono stati tradotti in 85 lingue. Fra questi: Change: la formazione e la soluzione dei problemi (1974), La realtà della realtà (1976), La realtà inventata (1988), Di bene in peggio. Istruzioni per un successo catastrofico (1988), L’arte del cambiamento (1990, insieme a Giorgio Nardone), America, istruzioni per l’uso (1993), Il linguaggio del cambiamento (1999). Tra le sue opere non si trovano solo ponderosi trattati filosofici ma anche agili libriccini spiritosi, pubblicati in Italia da Feltrinelli. In uno dei più recenti, Istruzioni per rendersi infelici (1997), Watzlawick racconta di un uomo che ogni dieci secondi batte le mani. A chi gli chiede il perché di questo strano comportamento, risponde: “Per scacciare gli elefanti”. E quando gli si fa notare che lì non ci sono elefanti, risponde: “Ecco, vedete che funziona?”.

 

(Il consiglio dell'Associazione Italiana di Psicologia e Sociologia Interattivo - Costruttivista, si rende disponibile alla rimozione del presente documento, qualora l'editore o l'autore considerino tale riproduzione lesiva dei loro diritti d'autore)

 


Phoenix