La città

Robert Ezra Park, Roderick D. McKenzie, Ernest Burgess

The City: Suggestions for the Study of Human Nature in the Urban Environment, University of Chicago Press, Chicago


La città - Robert Ezra Park, Roderick D. McKenzie, Ernest Burgess
The City: Suggestions for the Study of Human Nature in the Urban Environment - Robert Ezra Park, Roderick D. McKenzie, Ernest Burgess

pagine 232

16,53 euro

1925, ed. italiana 1979

Edizioni di comunità, Torino


L'analisi della città è un elemento di fascino costante e contradditorio per gli individui, che hanno visto in essa, alternativamente, un luogo di trionfo o di sconfitta esistenziale, di costruzione del desiderio e degli orizzonti di senso personali e collettivi, cui si collega la capacità di sovvertire o trasformare ogni propria prospettiva. Robert Park, dopo un primo denso articolo del 1915 su questo tema, rivede quel saggio e, nel 1925, insieme a Ernest Burgess, Roderick McKenzie e al giovane Louis Wirth scrive "La città", che diverrà un testo classico della sociologia urbana mondiale. Il volume, manifesto teorico della ricerca urbana svolta a Chicago dalla Scuola di sociologia negli anni Venti e Trenta, unisce analisi ecologica dello sviluppo, dell'aggregarsi e dello spostarsi degli individui nello spazio e nel tempo urbano e analisi storica della tipologia dell'espansione di una moderna città industriale e commerciale. Il contesto urbano, ricordano i sociologi della Scuola di Chicago, produce sentimenti, emozioni e relazioni inedite ed eterogenee che intrecciano imprevedibilmente le dinamiche spaziali e temporali in una miscela in rapporto con la disorganizzazione sociale della città. E Chicago, metropoli figlia di cento gruppi etnici e di un numero indeterminabile di sogni, è il laboratorio sociale nel quale l'analisi degli autori de "La città" estrinseca le proprie premesse teoriche. Una lettura, quella di Park, Burgess e McKenzie, che attraversa il tempo e, a distanza di tanti anni continua a proporre, a partire da "La città", interpretazioni, suggestioni, orientamenti, che entrano in rapporto con l'individuo contemporaneo e confermano l'attualità e la fecondità di quel lavoro.

Indice

Ringraziamenti

Introduzione

1. In principio fu il progetto. Ovvero i rifiuti della costruzione di ordine

2. Loro sono troppi? Ovvero i rifiuti del progresso economico

3. A ciascun rifiuto la sua discarica. Ovvero i rifiuti della globalizzazione

4. Cultura dei rifiuti

Note

 

Introduzione

Il nostro pianeta è saturo.
Questa – voglio essere chiaro – non è una affermazione che riguardi la geografia fisica, e neppure quella umana. In termini di spazio fisico e di diffusione della coabitazione umana, il pianeta è tutt’altro che pieno. Al contrario, sembra che le dimensioni complessive delle terre poco popolate o addirittura spopolate, considerate inabitabili e incapaci di sostenere la vita umana, lungi dall’essere in calo siano in aumento. Il progresso tecnologico, che offre (a costi crescenti, certo) nuovi mezzi per sopravvivere in habitat precedentemente definiti inidonei all’insediamento umano, al tempo stesso erode la capacità di molti habitat di sostenere le popolazioni che in precedenza accoglieva e nutriva. Frattanto, il progresso economico rende insostenibili e impraticabili certi modi di procurarsi da vivere che un tempo erano efficaci, e con ciò contribuisce all’aumento delle dimensioni delle terre desolate che giacciono incolte e abbandonate.

«Il pianeta è saturo» è una affermazione che riguarda la sociologia e le scienze politiche. Si riferisce non allo stato della Terra, ma ai modi e mezzi adottati dai suoi abitanti per vivere. Segnala la scomparsa delle no man’s lands, o terre di nessuno, cioè di quei territori che possono essere definiti e/o trattati come vuoti di abitanti umani, nonché privi di un’amministrazione sovrana, quindi aperti alla colonizzazione e all’insediamento, che anzi reclamano a gran voce. Questi territori, oggi largamente assenti, per gran parte della storia moderna hanno svolto il ruolo cruciale di discariche per i rifiuti umani sfornati in quantitativi sempre crescenti nelle parti del pianeta investite dai processi di «modernizzazione».

La produzione di «rifiuti umani» o, più precisamente, di esseri umani scartati (quelli in «esubero», «eccedenti», cioè la popolazione composta da coloro cui non si poteva, o non si voleva, dare il riconoscimento o il permesso di restare), è un risultato inevitabile della modernizzazione e una compagna inseparabile della modernità. È un ineludibile effetto collaterale della costruzione di ordine (ogni forma di ordine scarta alcune parti della popolazione esistente come «fuori posto », «inidonee» o «indesiderate»), e del progresso economico (che non può andare avanti senza degradare e svalutare i modi di «procurarsi da vivere» che in passato erano efficaci, e che quindi non può che privare del sostentamento chi quei modi praticava).

Tuttavia, per gran parte della storia moderna, regioni immense del pianeta (le regioni «arretrate», «sottosviluppate», se misurate col metro delle ambizioni delle aree del pianeta già moderne, cioè consegnate a una modernizzazione ossessiva) sono rimaste in tutto o in parte immuni dalle pressioni della modernizzazione stessa, sottraendosi così al loro effetto di «sovrappopolazione». Di fronte alle nicchie del pianeta in via di modernizzazione, queste regioni («premoderne», «sottosviluppate ») hanno cominciato a essere considerate e trattate come terre in grado di assorbire l’eccesso di popolazione dei «paesi sviluppati»; destinazioni naturali per l’esportazione di «esseri umani in esubero» e, ovviamente, discariche belle e pronte per i rifiuti umani della modernizzazione. Lo smaltimento dei rifiuti umani prodotti nelle aree del pianeta «modernizzate» e in quelle «in via di modernizzazione» è stato il senso più profondo della colonizzazione e delle conquiste imperialistiche – entrambe rese possibili, anzi inevitabili, dal differenziale di potere riprodotto incessantemente dalla pura e semplice disparità dello «sviluppo» (chiamata eufemisticamente «ritardo culturale»), che a sua volta deriva dal fatto che il modo di vivere moderno è circoscritto a un settore «privilegiato» del pianeta –. Tale disparità ha consentito alla porzione moderna del pianeta di cercare, e trovare, soluzioni globali a problemi di «sovrappopolazione» prodotti localmente.

Questa situazione poteva durare finché la modernità (cioè una modernizzazione perpetua, compulsiva, ossessiva e generatrice di dipendenza) rimaneva un privilegio. Una volta che la modernità si è trasformata – come era inteso e inevitabile che fosse – nella condizione universale del genere umano, gli effetti del suo dominio planetario sono ricaduti su chi li ha provocati. Ora che il progresso trionfante della modernizzazione ha raggiunto le terre più remote del pianeta, che la quasi totalità della produzione e del consumo umani sono mediati dal denaro e dal mercato, e che i processi della mercificazione, della commercializzazione e della monetarizzazione dei mezzi di sussistenza umani hanno penetrato ogni crepa e ogni fessura del pianeta, non sono più disponibili soluzioni globali ai problemi prodotti localmente, né sfoghi globali per eccessi locali. Anzi è proprio il contrario: tutte le località (comprese segnatamente quelle altamente modernizzate) devono sopportare le conseguenze del trionfo globale della modernità. Si trovano ora di fronte all’esigenza di cercare (invano, a quanto pare) soluzioni locali a problemi prodotti globalmente.

Per farla breve: la recente saturazione del pianeta significa essenzialmente una crisi acuta dell’industria dello smaltimento dei rifiuti umani. Mentre la produzione di rifiuti umani prosegue senza posa e tocca nuove vette, il pianeta resta rapidamente a corto di discariche e di strumenti per il riciclaggio dei rifiuti.

Per rendere ancor più complesso e minaccioso questo stato di cose già fastidioso, alle due originarie si è aggiunta una nuova, potente fonte di «esseri umani di scarto». La globalizzazione è diventata la terza, e attualmente la più prolifica e meno controllata, «linea di produzione» di rifiuti umani o di esseri umani di scarto. Ha anche dato una nuova mano di vernice al vecchio problema e lo ha impregnato di un senso tutto nuovo e di un’urgenza senza precedenti.

 

 

da wikipedia:

La città è vista non come una semplice congeria di persone e di ordinamenti sociali ma come un'istituzione. Park è influenzato dal sociologo e filosofo Georg Simmel nella sua visione della vita sociale come interazione, in un processo relazionale di elementi apparentemente contraddittori nel quale si uniscono conflitto e cooperazione. In tale saggio Park opera un'analisi della vita sociale in una grande metropoli e analizza le varie forme di interazione che si creano tra gli individui nella città. La forma di associazione più semplice ed elementare nell'organizzazione sociale è il vicinato, ossia un luogo che ha proprie tradizioni, una propria storia e dei propri sentimenti, tuttavia il vicinato nella città perde molte delle caratteristiche che aveva nelle comunità rurali, in quanto le nuove tecnologie e i moderni mezzi di trasporto hanno permesso agli individui di distribuire i propri interessi e di partecipare ad una serie di mondi diversi, distruggendo in tal modo l'intimità e la stabilità del vicinato.

Una caratteristica importante interna alla comunità urbana è, secondo Park, la mobilità, intesa non solo in base alla mobilità territoriale degli individui, ma anche in base al numero e alla varietà di stimoli a cui gli abitanti della città sono sottoposti. La mobilità quindi intesa anche in termini di comunicazione, infatti i moderni mezzi di comunicazione hanno trasformato l'organizzazione sociale e industriale della città moderna, modificando e trasformando le abitudini e i sentimenti degli individui. Nella città le relazioni faccia a faccia, ossia le relazioni primarie, importanti in quel gruppo primario teorizzato da Cooley, vengono sostituite dalle relazioni secondarie, indirette. Nelle grandi città dove la popolazione è instabile, le relazioni del gruppo primario si indeboliscono e l'ordine morale che poggiava su di esse viene progressivamente meno. In tale rottura dei legami primari e nell'indebolimento dei freni inibitori, secondo Park, risiede l'aumento del vizio e della criminalità, infatti nella città il controllo sociale viene svolto per lo più dalla pubblicità. Nelle comunità caratterizzate dalle relazioni secondarie l'opinione pubblica diventa la fonte di controllo sociale; in tale comunità la moda tende a prendere il posto della tradizione ed è l'opinione pubblica che diventa la forza principale di controllo sociale, e gli strumenti per controllare l'opinione pubblica all'interno della città sono la stampa e le agenzie di ricerca.

Il giornale è lo strumento di comunicazione più importante nelle città, ed è sulle informazioni da esso fornite che poggia l'opinione pubblica; nelle città il giornale svolge la funzione che un tempo era svolta dal pettegolezzo di villaggio, anche se il giornale non può competere con il controllo esercitato dal pettegolezzo del villaggio, in quanto sono molte di più le informazioni che girano in un piccolo gruppo. Inoltre i trasporti e la comunicazione hanno determinato quella che Park chiama mobilizzazione dell'individuo: questi moderni mezzi di comunicazione hanno permesso all'individuo di instaurare rapporti con i propri compagni, ma hanno dato a questi rapporti un carattere transitorio e instabile. In pratica l'abitante della grande metropoli vive come quelle persone che abitano i grandi alberghi, incontrando altra gente ma senza che si realizzi una reciproca conoscenza; in tali situazioni lo status dell'individuo è determinato da simboli convenzionali e i rapporti tra gli individui sono regolati dal denaro.

La mobilità degli individui all'interno delle grandi città è resa ancora più facile anche dalla segregazione spaziale degli individui, che crea delle distanze morali che fanno della città un mosaico di mondi che si toccano ma che non penetrano mai l'uno nell'altro. La segregazione permette agli individui di spostarsi da un ambiente morale ad un altro molto facilmente e incoraggia l'esperimento di vivere molti mondi diversi, che sono sì contigui ma rigidamente separati.

Nella metropoli inoltre l'individuo trova l'ambiente morale in cui potersi esprimere e sentirsi a proprio agio, trova quel clima morale da cui trarre gli stimoli che portano le sue qualità innate a manifestarsi. Nella città è il delinquente, il subnormale che hanno la possibilità di sviluppare le proprie inclinazioni. Inoltre nella città individui con una moralità simile tendono a segregarsi in regioni morali, ossia aree della città in cui si incontrano individui con una simile moralità; esempi di regione morale sono i quartieri del vizio.