Giovani, stranieri e criminali

Alessandro Dal Lago


Giovani, stranieri e criminali - Alessandro Dal Lago

pagine 160

9,30 euro

2001

Manifestolibri, Roma

 

Dalla cronaca alle leggi, dai media alla teoria sociale, la deriva xenofoba e razzista che negli ultimi anni ha preso di mira giovani, stranieri ed emarginati. Le politiche della destra e le responsabilità della sinistra.

 

Introduzione

Cronache di una deriva


1. Alla fine, come un’anestesia o un’abitudine (avrebbe detto De André), quello che ci si aspettava da mesi è successo. La destra ha vinto le elezioni e il governo Berlusconi si è insediato, nello sbigottimento e nell’afasia dell’opposizione. Molti tra di noi erano perfino sollevati: se non altro, pensavano, finirà il marasma in cui dieci anni di centro-sinistra avevano fatto scivolare il paese. Riprenderà il conflitto sociale, i ruoli e le parti si chiariranno. Dopo un mese scarso di governo di destra, la realtà si è incaricata di superare qualsiasi previsione. I fatti di Genova resteranno nella memoria collettiva come uno spartiacque della storia italiana, forse ancora più gravido di conseguenze del luglio ’60 e del rapimento Moro. Genova ha mostrato definitivamente che da noi la destra ha ben poco a che fare con quella che, in occidente, consideriamo espressione politica del liberismo. A Genova, le peggiori pulsioni reazionarie della società italiana sono uscite trionfalmente allo scoperto: post-fascisti che hanno gettato di colpo la maschera democratica, liberali adoratori del manganello, un apparato di sicurezza sgangherato e forcaiolo, le nostre cinque o sei polizie che non vedevano l’ora di esprimere un odio profondo (e covato a lungo) per tutto ciò che sa di sinistra, oltre che di vendicarsi, per lo più su persone inermi, della propria frustrazione, dei bassi stipendi o del disprezzo che precepivano nel paese1.
Intendiamoci, sarebbe azzardato attribuire tutto ciò a una strategia consapevole del centro-destra. Si è trattato piuttosto di un «naturale» riorientamento politico che ha trovato a Genova il primo banco di prova. Il blocco politico-sociale che si è affermato nel maggio 2001 è tutto tranne che omogeneo. Il leghismo cantonale e xenofobo deve convivere con gli interessi oggettivamente globali dei finanzieri globali, il protezionismo corporativo dei fascisti e della Lega con il liberismo pragmatico degli industriali, le correnti laiche di Forza Italia con il revanscismo democristiano. Ma questo coacervo trova una sintesi mirabile nella maschera vuota e mediale di un premier che probabilmente sa ben poco della funzione che occupa, se non che gli permette di curare gli interessi dell’azienda di famiglia. E soprattutto le diverse anime della destra italiana trovano una ragion d’essere in ciò che tutte insieme negano: la sfera dei diritti sociali, civili e politici. I giorni di Genova hanno ricapitolato, nella luce coatta di luglio, ciò che ci aspetta nei prossimi cinque anni. Mentre Berlusconi si occupava di intrattenere i suoi ospiti di riguardo, come un maggiordomo rimesso a nuovo, i suoi ministri si gettavano a capofitto in quello che pregustavano da tempo, il lavoro sporco. Chi preparava il decreto sull’immigrazione, chi cominciava a demolire il diritto del lavoro, chi sovrintendeva alla stretta carceraria, chi guidava la repressione nelle strade.
Fin qui, staremmo riassumendo il primo atto di un’involuzione iper-conservatrice, lo svuotamento sostanziale della democrazia con l’alibi della vittoria elettorale, il profilarsi di una dittatura liberista, ancora compatibile con le formalità politiche dell’occidente. Ma si tratta di un quadro troppo semplice. Quello che manca a questa ricostruzione – e che è l’oggetto principale del libro qui presentato – è la responsabilità politica e culturale di chi oggi si trova all’opposizione. Una responsabilità specifica, se si pensa che a decidere il G8 a Genova è stato D’Alema e a prepararlo, fino a metà giugno, sono stati Amato e il suo Ministro degli interni Bianco, un uomo che sarà ricordato solo per il disastro organizzativo delle elezioni di maggio. Una responsabilità che alla fine si è incarnata nei nomi dei capi della polizia che hanno gestito l’ordine pubblico a Genova: De Gennaro, La Barbera, Andreassi, i super-questurini voluti da D’Alema, Amato e Violante. Poliziotti del centro-sinistra che nel volgere di pochi giorni hanno messo il loro mediocre talento a disposizione di Berlusconi e Fini.
Allora, se dieci anni di illusioni riformiste alimentate sotto i governi di centro-sinistra (con il breve e grottesco intermezzo del primo governo Berlusconi, nel 1994), sono finiti nel sangue e nella vergogna, non ha molto senso limitarsi a esorcizzare i vincitori di oggi. È in quei dieci anni che dobbiamo rintracciare i fili, non sempre evidenti, che alla fine si sono annodati tra il maggio e il luglio 2001. E non parliamo solo della politique politicienne. Parliamo piuttosto delle trasformazioni macro-politiche, culturali e sociali che il centro-sinistra ha perseguito, oltretutto con un autolesionismo senza precedenti. Ricordiamo le principali. La dottrina e la pratica del bipolarismo, che dopo aver fatto moltiplicare i partiti (più numerosi che nella prima repubblica), ha consentito alla destra di ricompattarsi sotto la bandiera di Berlusconi. La legittimazione politica di Berlusconi e Fini, come in precedenza di Bossi, perseguita da D’Alema all’epoca della commissione bicamerale. La subordinazione agli interessi della grande industria (gli incentivi alla rottamazione voluti da Prodi), a cui gli industriali, Agnelli in testa, hanno risposto sposando entusiasticamente la causa di Berlusconi. L’erosione, cauta ma inarrestabile, di ciò che in Italia passava per stato sociale, a partire dalla protezione dei lavoratori (in teoria, elettori del governo che ora li minacciava…). L’adesione incondizionata all’atlantismo sfociata in una guerra extraparlamentare, decisa al di fuori di qualsiasi legittimazione democratica. Una guerra, quella del Kosovo, probabilmente determinante nella fuga di milioni di elettori cattolici e di sinistra dai partiti del centro-sinistra. Insomma, una litania di scelte politiche non solo contrarie a qualsiasi cultura di sinistra, anche moderata, ma visibilmente masochiste.
Questa fallimentare strategia non si spiega solo con la mediocrità dei leader e del personale politico di centro-sinistra, gente priva sia di reali doti politiche, sia di passione e di capacità di appassionare, insomma di carisma. Per quanto tale mediocrità sia apparsa plateale, è necessario andare al di là di un giudizio estetico-politico. Questo personale non esprimeva solo la fase conclusiva dell’involuzione dei partiti in cui si era formato, Dc e Pci, ma l’emergere di una cultura politica priva di principi, trasformista più che pragmatica, opportunista più che utilitarista. Una cultura, potremmo dire, ideologicamente centrista e interessata solo alla composizione degli interessi dominanti, alla fine beata della gestione del potere in quanto tale2. Una cultura che si illudeva di poter governare in modo manageriale, ma che così facendo si accecava da sé. Concependo la politica in termini esclusivi di amministrazione e di gestione dei poteri, il personale politico di centro-sinistra perdeva i contatti con la società reale. La mancanza di principi impediva insomma al centro-sinistra di cogliere i movimenti tellurici che stavano modificando la società italiana: da una parte il montare della cultura di destra, ormai emancipata dalla tradizionale intermediazione democristiana; dall’altra, la disaffezione dilagante degli elettori di sinistra, cattolici e laici, per i partiti che pretendevano di rappresentarli e di governare in loro nome. Più ancora che nella sconfitta elettorale del maggio 2001, l’annodarsi di questi due processi si rivelava compiutamente nei giorni di Genova. Era la destra profonda di questo paese, rappresentata dai suoi celerini, che si scontrava con la sinistra diffusa dei trecentomila, in cui militanti dei centri sociali e cattolici di base manifestavano insieme. Il governo di destra, dunque, contro la società. Il centro-sinistra non si è fatto vedere a Genova semplicemente perché non esisteva più.

Indice

I. Senza patria

II. Giovani, stranieri & criminali

III. Un mondo solo e diviso

IV. Guerre di casa nostra