La produzione della devianza. Teoria sociale e meccanismi di controllo

Alessandro Dal Lago


La produzione della devianza - Alessandro Dal Lago

pagine 126

10,00 euro

2000

Ombre Corte, Verona


"Credo che oggi, esattamente come vent’anni fa, il lavoro teorico ed empirico sulle devianze vecchie e nuove debba sfuggire alle pretese della terminologia positivistica delle scienze sociali e soprattutto dei meccanismi politico-morali che esse innescano. Così, un lavoro sulle scienze dell’immigrazione potrebbe mostrare, allo stesso modo in cui Foucault ha decostruito le idee di razza e di nazione, come il linguaggio "tecnico" della demografia, della sociologia, delle relazioni internazionali, ecc. travesta spesso la preoccupazione profonda di inferiorizzare i migranti, di tenerli a distanza, di farne dei non-cittadini. In questa prospettiva, il saggio che viene riproposto non è che una prima lettura, inevitabilmente parziale delle procedure con cui le moderne scienze hanno contribuito a spoliticizzare l’esperienza".

Indice

Prefazione alla seconda edizione
Introduzione

1. La nascita della patologia sociale
- Il paradigma sociale
- La normalità introvabile
- La necessità della devianza

2. Devianze e conflitti
- L'introiezione della devianza
- La crisi del modello sociologico classico
- L'emergere dei conflitti

3. Le trasformazioni dell'ordine
- Crisi di legittimazione e devianza
- Conclusioni: la teoria sociale e il mito della devianza


Recensioni

Sorvegliati e puniti

Massimiliano Guareschi

il manifesto, 18 Febbraio 2001

Agli inizi degli anni '80, Alessandro Dal Lago pubblicava un volume, dal titolo La produzione della devianza, nel quale si proponeva di tracciare, a partire da suggestioni foucoultiane, una genealogia del concetto di devianza percorrendo un itinerario che andava dalla criminologia positivistica alle posizioni espresse da classici della sociologia quali Durkheim, Parsons Merton. Il quadro che emergeva rimandava da una parte ai fondamenti morali, o se si preferisce ai presupposti politici, che supportavano il procedere di discorsi che si autorappresentavano come "imparzialmente" scientifici; dall'altra alla concreta operatività di un concetto come quello di devianza, che lungi dallo svolgere una funzione rappresentativa rispetto a un dato di fatto obiettivo, manifestava una concreta produttività sociale nel tracciare le linee di partizione che distinguevano i comportamenti leciti da quelli illeciti, il normale dal patologico. Assai rilevante, in tal senso, si rivelava il confronto con gli approcci della cosiddetta "labelling theory" che, a partire da un'analisi di matrice etnografica, hanno sottolineato l'incidenza dell'etichettamento nel determinare la "carriera" del deviante. La produttività delle definizioni sociali e dei concetti emerge infatti con forza negli studi di autori come Cicourel, Lemert o Becker, volti a descrivere i meccanismi attraverso i quali la profezia insita nell'etichettamento, in un complesso gioco di interazioni, finisce con l'autoavverarsi, portando il deviante a essere "ciò che la società o la comunità vogliono che sia". A vent'anni di distanza dalla prima edizione, La produzione della devianza viene ripubblicato dall'editore Ombre corte (Verona 2000, pp. 126, L. . 19.000). La lunga prefazione che apre il volume offre all'autore l'occasione per ritornare, alla luce delle urgenze problematiche dell'oggi, sulle questioni metodologiche e sui contenuti che avevano caratterizzato il suo primo libro. Al di là di qualche questione di dettaglio, Dal Lago dichiara di condividere nel complesso l'intentio metateorica o politica sottesa a quell'opera. Con le sue parole: "sono convinto, oggi come ieri, che i discorsi sociologici (e criminologici) sulla devianza non debbono essere trattati tanto come ipotesi scientifiche su certi aspetti della realtà sociale, quanto e soprattutto come dispositivi che costruiscono il proprio oggetto in base a strategie che hanno a che fare con il potere". Ogni definizione di devianza, ovviamente, presuppone, e contribuisce a costruire, una specifica immagine di ordine. Scendendo sul terreno del presente, la nuova prefazione sottolinea le mutazioni intervenute in proposito negli ultimi anni. Da un certo punto di vista, sembrerebbe di assistere a una sorta di regressione ottocentesca che trasforma la criminalità di strada nel fattore di inquietudine più diffuso e nel principale obiettivo delle politiche di sicurezza. Tuttavia, come mostra il recente studio di Salvatore Palidda Polizia postmoderna, le modalità attraverso le quali si sviluppano le politiche di controllo sociale sono caratterizzate da indubbi elementi di novità, in particolare dalla sempre più stretta interazione fra forze dell'ordine e società locali, in un contesto segnato da una percezione sempre più privatistica dello spazio pubblico. In tale ottica sicuritaria si delinea una tendenza alla drammatizzazione di comportamenti tutto sommato innocui. Viene da pensare, in proposito, ad alcune pagine di Parola d'ordine tolleranza zero di Loïc Wacquant, in cui l'autore sottolinea la progressiva criminalizzazione negli Usa e anche in Europa di una serie di infrazioni minori, quelle che in francese vengono deviante incivilité, quali gli schiamazzi notturni, l'ebbrezza o le attività dei graffitisti. Obiettivo privilegiato di tale criminalizzazione risultano ovviamente le classi subalterne, i giovani delle periferie, i migranti, in un quadro di complessiva ridefinizione delle politiche di controllo sociale che procede attraverso il trattamento penale della miseria, la massiccia riattivazione della risposta carceraria, l'inferiorizzazione dei gruppi destinati ai segmenti bassi del mercato del lavoro. L'insistente riproposizione dell'equazione immigrato-criminale, inoltre, mostra chiaramente come sulla figura dello straniero convergano massicciamente nel nostro tempo le pratiche di costruzione della devianza. A tal proposito, è necessario essere consapevoli di quali siano le poste in gioco. Come nota Dal Lago, la sociologia liberal degli anni '60 aveva colto nelle manifestazioni di "devianza" una reazione nei confronti di un'aspirazione a forme di socialità non conformista. A suo parere, oggi, la criminalizzazione del migrante, di chi cerca di evadere dal "proprio" ordine sociale, economico o politico, tenta di "falsificare la pretesa politica (in poche parole una nuova idea di cittadinanza globale, anche se in nuce e inconsapevole) contenuta nella stessa esistenza dei migranti".


Minimo Storico

Fabrizio Billi

Rivista di storia on-line

La casa editrice Ombre Corte, nata un paio di anni fa, ha già un ricco catalogo di pubblicazioni, in parte opere inedite, ed in parte ripubblicazioni di libri da tempo esauriti. E' il caso di questo libro di Alessandro Dal Lago, pubblicato per la prima volta una ventina di anni fa, all'inizio degli anni ottanta. Il testo ripubblicato è preceduto da un'ampia introduzione, nella quale l'autore spiega i motivi della ripubblicazione e perché questa sua opera possa essere considerata ancora attuale (di Alessandro Dal Lago cfr. anche, su queste stesse pagine la scheda al volume Non persone. L'esclusione dei migranti in una società globale, Milano, Feltrinelli, 1999).
All'epoca della prima pubblicazione, le società occidentali erano all'inizio di quella rivoluzione neoconservatrice che, applicando le politiche della "tolleranza zero", ha portato alla criminalizzazione della cosiddetta"devianza", intensa non solo come repressione di fenomeni di microcriminalità, ma anche come criminalizzazione di categorie sociali deboli come gli immigrati.
Venti anni fa era molto in voga il dibattito sui concetti di potere e di conflitto, un dibattito allora attuale sulla spinta dei conflitti sociali degli anni sessanta e settanta e sulla spinta del pensiero foucaultiano. Come ricorda Dal Lago, "sulla scia dei movimenti di opposizione degli anni '60 e '70, non c'era aspetto della vita sociale che non fosse sottoposto a interrogazioni radicali". Soprattutto la sociologia elaborava teorie del conflitto e del potere, sia la sociologia marxista che quella di altra ispirazione. Secondo Dal Lago, le teorie allora elaborate si dimostravano inadeguate ad elaborare soddisfacenti teorie del conflitto. Questo perché sarebbero state viziate dal positivismo. Le opere storiche e teoriche di Michel Foucault hanno rappresentato uno dei punti più alti dell'introduzione di nuovi paradigmi non positivisti, ed anzi anti-positivisti, nelle scienze sociali.
Dal Lago prende spunto dall'analisi foucaultiana della microfisica del potere per analizzare la questione della devianza. Negli anni successivi Dal Lago si è occupato molto spesso dei rapporti tra sistemi di potere e forme di devianza sociale, nonché di analisi dei meccanismi dell'esclusione, trattando in particolare del fenomeno dell'immigrazione, perché è relativamente a tale fenomeno che oggi è più appropriato parlare di "devianza". I migranti sono i "devianti" per eccellenza, coloro che sono supposti non potere o non volere conformarsi alle regole sociali delle comunità in cui vivono, sono devianti perché ritenuti dall'opinione pubblica una minaccia per la propria sicurezza. Venti anni fa la situazione era ben differente: l'Italia aveva ancora flussi di immigrazione praticamente nulli, ed i "devianti" non erano gli immigrati, ma piuttosto altre categorie sociali, espressioni della rivolta degli anni sessanta e settanta. Oggi, scrive Dal Lago, "sono i migranti provenienti dai paesi poveri a rivestire quel ruolo di "classi pericolose" che centocinquant'anni fa era riservato alla classe operaia". Oggi la situazione sociale e politica è completamente cambiata: terminata la stagione dei grandi movimenti sociali, sono conseguentemente mutati anche i protagonisti dei fenomeni di "devianza".
Quello che rimane costante in questi venti anni è il meccanismo che mette in rapporto la devianza alle forme di legittimazione del potere. Come venti anni fa il potere politico reagiva al conflitto criminalizzandolo e tacciandolo di devianza, oggi di numerosi e precisi soggetti politici e sociali l'intenzione di "interiorizzare i migranti, di tenerli a distanza, di farne dei non-cittadini". Agitare lo spauracchio della paura dei "devianti" serve, secondo Dal Lago, "come una formidabile risorsa politico-morale per stati la cui legittimazione è sempre più problematica". Oggi più che mai, la "devianza" è a livello microfisico: "tutto l'occidente è ossessionato dal problema della sicurezza nelle strade, del contenimento della delinquenza, in breve dell'ordine microfisico", e questo quando, "in realtà, nessun dato giustifica questa ossessione". Basta aprire un qualsiasi giornale per accorgersi della paura di attori politici e sociali nei riguardi degli immigrati, considerati come un pericolo capace di disgregare la nostra società. Per questo, può essere un utile spunto di riflessione analizzare la questione dal punto di vista della "microfisica dle potere" e dei rapporti tra "devianza" e potere.