Vite di scarto

Zygmunt Bauman

Wasted Lives. Modernity and its Outcasts, Polity, Cambridge


Vite di scarto  - Zygmunt Bauman

pagine 174

8,00 euro

2004, ed. italiana 2005

Laterza, Roma - Bari


La modernizzazione è la più prolifica e meno controllata ‘linea di produzione’ di rifiuti e di esseri umani di scarto. La sua diffusione globale ha sprigionato e messo in moto quantità enormi e sempre crescenti di persone private dei loro modi e mezzi di sopravvivenza. I reietti, i rifugiati, gli sfollati, i richiedenti asilo sono i rifiuti della globalizzazione. Ma non sono i soli rifiuti: vi sono anche le scorie che hanno accompagnato fin dall’inizio la produzione. L’ultima, lucida analisi di Bauman.

Indice

Ringraziamenti

Introduzione

1. In principio fu il progetto. Ovvero i rifiuti della costruzione di ordine

2. Loro sono troppi? Ovvero i rifiuti del progresso economico

3. A ciascun rifiuto la sua discarica. Ovvero i rifiuti della globalizzazione

4. Cultura dei rifiuti

Note

 

Introduzione

Il nostro pianeta è saturo.
Questa – voglio essere chiaro – non è una affermazione che riguardi la geografia fisica, e neppure quella umana. In termini di spazio fisico e di diffusione della coabitazione umana, il pianeta è tutt’altro che pieno. Al contrario, sembra che le dimensioni complessive delle terre poco popolate o addirittura spopolate, considerate inabitabili e incapaci di sostenere la vita umana, lungi dall’essere in calo siano in aumento. Il progresso tecnologico, che offre (a costi crescenti, certo) nuovi mezzi per sopravvivere in habitat precedentemente definiti inidonei all’insediamento umano, al tempo stesso erode la capacità di molti habitat di sostenere le popolazioni che in precedenza accoglieva e nutriva. Frattanto, il progresso economico rende insostenibili e impraticabili certi modi di procurarsi da vivere che un tempo erano efficaci, e con ciò contribuisce all’aumento delle dimensioni delle terre desolate che giacciono incolte e abbandonate.

«Il pianeta è saturo» è una affermazione che riguarda la sociologia e le scienze politiche. Si riferisce non allo stato della Terra, ma ai modi e mezzi adottati dai suoi abitanti per vivere. Segnala la scomparsa delle no man’s lands, o terre di nessuno, cioè di quei territori che possono essere definiti e/o trattati come vuoti di abitanti umani, nonché privi di un’amministrazione sovrana, quindi aperti alla colonizzazione e all’insediamento, che anzi reclamano a gran voce. Questi territori, oggi largamente assenti, per gran parte della storia moderna hanno svolto il ruolo cruciale di discariche per i rifiuti umani sfornati in quantitativi sempre crescenti nelle parti del pianeta investite dai processi di «modernizzazione».

La produzione di «rifiuti umani» o, più precisamente, di esseri umani scartati (quelli in «esubero», «eccedenti», cioè la popolazione composta da coloro cui non si poteva, o non si voleva, dare il riconoscimento o il permesso di restare), è un risultato inevitabile della modernizzazione e una compagna inseparabile della modernità. È un ineludibile effetto collaterale della costruzione di ordine (ogni forma di ordine scarta alcune parti della popolazione esistente come «fuori posto », «inidonee» o «indesiderate»), e del progresso economico (che non può andare avanti senza degradare e svalutare i modi di «procurarsi da vivere» che in passato erano efficaci, e che quindi non può che privare del sostentamento chi quei modi praticava).

Tuttavia, per gran parte della storia moderna, regioni immense del pianeta (le regioni «arretrate», «sottosviluppate», se misurate col metro delle ambizioni delle aree del pianeta già moderne, cioè consegnate a una modernizzazione ossessiva) sono rimaste in tutto o in parte immuni dalle pressioni della modernizzazione stessa, sottraendosi così al loro effetto di «sovrappopolazione». Di fronte alle nicchie del pianeta in via di modernizzazione, queste regioni («premoderne», «sottosviluppate ») hanno cominciato a essere considerate e trattate come terre in grado di assorbire l’eccesso di popolazione dei «paesi sviluppati»; destinazioni naturali per l’esportazione di «esseri umani in esubero» e, ovviamente, discariche belle e pronte per i rifiuti umani della modernizzazione. Lo smaltimento dei rifiuti umani prodotti nelle aree del pianeta «modernizzate» e in quelle «in via di modernizzazione» è stato il senso più profondo della colonizzazione e delle conquiste imperialistiche – entrambe rese possibili, anzi inevitabili, dal differenziale di potere riprodotto incessantemente dalla pura e semplice disparità dello «sviluppo» (chiamata eufemisticamente «ritardo culturale»), che a sua volta deriva dal fatto che il modo di vivere moderno è circoscritto a un settore «privilegiato» del pianeta –. Tale disparità ha consentito alla porzione moderna del pianeta di cercare, e trovare, soluzioni globali a problemi di «sovrappopolazione» prodotti localmente.

Questa situazione poteva durare finché la modernità (cioè una modernizzazione perpetua, compulsiva, ossessiva e generatrice di dipendenza) rimaneva un privilegio. Una volta che la modernità si è trasformata – come era inteso e inevitabile che fosse – nella condizione universale del genere umano, gli effetti del suo dominio planetario sono ricaduti su chi li ha provocati. Ora che il progresso trionfante della modernizzazione ha raggiunto le terre più remote del pianeta, che la quasi totalità della produzione e del consumo umani sono mediati dal denaro e dal mercato, e che i processi della mercificazione, della commercializzazione e della monetarizzazione dei mezzi di sussistenza umani hanno penetrato ogni crepa e ogni fessura del pianeta, non sono più disponibili soluzioni globali ai problemi prodotti localmente, né sfoghi globali per eccessi locali. Anzi è proprio il contrario: tutte le località (comprese segnatamente quelle altamente modernizzate) devono sopportare le conseguenze del trionfo globale della modernità. Si trovano ora di fronte all’esigenza di cercare (invano, a quanto pare) soluzioni locali a problemi prodotti globalmente.

Per farla breve: la recente saturazione del pianeta significa essenzialmente una crisi acuta dell’industria dello smaltimento dei rifiuti umani. Mentre la produzione di rifiuti umani prosegue senza posa e tocca nuove vette, il pianeta resta rapidamente a corto di discariche e di strumenti per il riciclaggio dei rifiuti.

Per rendere ancor più complesso e minaccioso questo stato di cose già fastidioso, alle due originarie si è aggiunta una nuova, potente fonte di «esseri umani di scarto». La globalizzazione è diventata la terza, e attualmente la più prolifica e meno controllata, «linea di produzione» di rifiuti umani o di esseri umani di scarto. Ha anche dato una nuova mano di vernice al vecchio problema e lo ha impregnato di un senso tutto nuovo e di un’urgenza senza precedenti.