Percezione del rischio e devianza primaria: uno studio su consumatori di cannabis, alcol ed ecstasy

Francesco Buccheri, Claudio Fasola

2. Premesse Teoriche
2.1 Il costrutto di percezione del rischio
Nel presente lavoro, il costrutto di percezione del rischio è inteso come precursore e componente stesso dell'azione. Si tratta di un'importante mediatore cognitivo con  funzione preventiva, capace di incrementare l'automonitoraggio della condotta.
Sinteticamente, la percezione del rischio è il risultato di una doppia congettura, basata su variabili soggettive, riguardo la probabilità e la gravità di un evento negativo. In tale modo ciò che è definito non è tanto il rischio di un evento, bensì l'entità del rischio ad esso associata.
Il costrutto, tuttavia, non è stato identificato con una singola unità concettuale, rimandando piuttosto a un complesso corollario di variabili psicologiche e dando importanza alla specifica interpretazione simbolica rispetto a eventi potenzialmente dannosi (Reda, Pilleri, Fasola, 2004).
Inoltre, sono stati considerati importanti fattori di contesto, in quanto si ritiene che i processi interattivi e relazionali svolgano un ruolo fondamentale  nella percezione del rischio, nelle strategie di gestione di situazioni problematiche e nella definizione di concetti come salute e malattia.

2.2  Prospettiva epistemologica
 Gli obiettivi conoscitivi che ci si è posti hanno condotto all'assunzione di una particolare prospettiva epistemologica e a specifiche scelte meta-teoriche. Si è voluto rispettare un criterio epistemologico di adeguatezza, per cui diversi livelli di realtà richiedono prospettive e strumenti di analisi diversi (Fiora, Pedrabissi, Salvini, 1988). L'orientamento epistemologico di questo lavoro è pertanto di tipo antropomorfico e costruttivista.
La prospettiva epistemologica antropomorfica ha permesso di ribadire la concezione di un uomo  protagonista del proprio agire, guidato da scopi e intenzioni, continuamente impegnato a progettare e dare un significato al proprio agire in relazione a un contesto interpretativo (Fiora, Pedrabissi, Salvini, 1988). Per i fini particolari del presente lavoro è stato utile non parlare più di ambiente, bensì di contesti dentro ai quali l'attore sociale svolge adattamenti attivi alle interpretazioni con cui entra in contatto (Turchi e Baciga. 2002).
L'ottica costruttivista ha permesso di porsi all'interno di un mondo composto da molteplici realtà, tante quante sono gli osservatori. L'alternativismo costruttivo, grazie al concetto di alternativa, invita ad aprire gli occhi con stupore e curiosità verso i mondi “altri” che possono essere quelli dei devianti e, nello specifico, la peculiare realtà del tossicofilico.
In questo studio è stata considerata la costruzione della realtà attraverso i significati di un possibile spettatore intenzionale. Ogni persona produce nuove realtà, basandosi sui significati che rimandano alla personale esperienza vissuta. Le parole di Von Glasersfeld sono in questo caso illuminanti: “Il soggetto non ha altra alternativa che costruire ciò che conosce sulla base della propria esperienza (...). Non possiamo mai dire se questa conoscenza sia vera, perché per affermare tale verità avremmo bisogno di un confronto che semplicemente non possiamo fare” (1994, p. 7).

2.3 Scelte Teoriche
Gli obiettivi preposti e la prospettiva epistemologica adottata hanno orientato verso specifiche scelte teoriche, che hanno riguardato  l'Interazionismo Simbolico, con particolare riferimento al contributo teorico e metodologico  dei cosiddetti labeling theorist (Becker 1963, Goffman 1961, Lemert 1967, Matza 1969, Scheff 1975), e la Teoria dei Costrutti Personali  (Kelly, 1955).

L’Interazionismo Simbolico, sviluppato intorno agli anni Venti dal pensiero dello psicologo sociale e filosofo George Herbert Mead (1934), offre una prospettiva gnoseologica che considera l'uomo non rigidamente condizionato da fattori pre-esistenti, ma agente rispetto a regole e piani preordinati (Salvini, 2004). L'attenzione viene dunque rivolta al contesto normativo e a come questo venga modificato dagli attori sociali.
L'indagine è focalizzata sulle continue interazioni che intercorrono tra le persone e tra queste e il sistema normativo-simbolico. L'uomo interagisce per mezzo di simboli e davanti a sé non ha una sola persona, ma un fascio di interazioni (Turchi e Baciga, 2002, p. 84) che, nonostante la dimensione simbolica, hanno effetti pragmatici e quindi reali per le persone stesse.
Cercando di delineare le direttive di un “modello interazionista”, Blumer (1969, p. 2) afferma tre principi: 1) il rapporto dell'uomo con gli oggetti di cui ha esperienza è guidato dai significati che egli vi riconduce; 2) tali significati sono appresi nell'interazione con gli altri; 3) i significati sono poi elaborati e modificati dal soggetto nel corso del dialogo interiore intrattenuto con se stesso.  
Per comprendere ogni fenomeno sociale, è necessario dunque cogliere i significati in base a cui si muovono gli attori sociali, tenendo in considerazione contesti personali e interpersonali e mettendo in evidenza le ragioni piuttosto che la scoperta di cause prime e principi assoluti.
Lo stesso comportamento deviante, liberato da assunti patofilici, è visto come un agire secondo definizioni in contrasto con la cultura prevalente. E' sempre ribadita la disposizione e l'intenzione della persona a far propri quei significati che gli consentano di compiere l'azione deviante a partire da una ridefinizione complementare del proprio sé (Matza, 1969).
Poiché Sè e identità costituiscono due importanti costrutti concettuali per i fini del presente lavoro, si ricorda che ci si riferirà ad essi secondo l'ottica dell'Interazionismo Simbolico e, in particolare, tenendo conto dei contributi apportati da Alessandro Salvini.                                                            
L'autore, in accordo con la tradizione interazionista, compie una critica del concetto di personalità, intendendola piuttosto  un concetto che si riferisce ad una realtà ipotetica. Con il concetto di personalità si vuole far riferimento ad un'entità psicologica variamente configurabile e identificabile con certi processi interattivi in cui la persona è il punto di coagulo, di attraversamento e di monitoraggio (Salvini, 2004, p. 73). Le etichette “Sè” e “identità” non indicano entità dotate di realtà psichica o empirica, bensì processi psicologici che sottostanno alla costruzione, mantenimento e cambiamento dell'autoconsapevolezza e dell'automonitoraggio comportamentale.
Con il termine “identità personale” s'intende “il risultato di diversi processi psicologici, intrapersonali ed interpersonali, che confluiscono in una struttura organizzatrice della conoscenza individuale relativa a sè stessi” (...) ed “è sostenuta da due processi: (1) l'autoconsapevolezza, ovvero il flusso di esperienza soggettiva che ogni donna ed ogni uomo sperimentano; in ogni individuo possono manifestarsi diversi livelli di autoconsapevolezza e di stati di coscienza; (2) l'autoregolazione, intesa come capacità riflessiva di automonitoraggio, corrispondente alla percezione oggettuale che uno ha di sè e delle proprie azioni” (...)“Autoconsapevolezza ed autoregolazione (...)” inoltre “ permeano tre dimensioni dell'identità personale a) il concetto di sè (aspetto intrapersonale); b) la rappresentazione di sè (aspetto interpersonale e situazionale); c) l'identità tipizzata, ovvero condivisa da un gruppo o classe di individui (aspetto intra/intergruppo)” (...); nello specifico, il concetto di sè è “un'insieme di categorie semantiche naturali rappresentate mentalmente dai concetti lessicali che concorrono a formare l'idea che una persona ha di se stessa” (...), mentre nella rappresentazione di sè si individua la sua “ parte operativa, empiricamente prodotta, proiettata nell'assunzione di ruoli e di volti d'identità” (...); infine, secondo una prospettiva che considera la matrice sociale e culturale di appartenenza, l'identità tipizzata viene definita “un set di tratti attribuiti a se stessi, relativi ad aspetti disposizionali, comportamentali, espressivi e di ruolo, di natura prototipica e stereotipica . Caratteristiche attribuite ed assunte come elementi di identificazione o di tratti autodescrittivi dai membri di gruppi socialmente organizzati” (Salvini, 2004, p. 164).
L'autore trova inoltre nel concetto di ruolo un potente strumento di comprensione dei fenomeni sociali. Uno sguardo attento può infatti cogliere come l'essere e l'agire delle persone siano fortemente vincolati ad un contesto relazionale per mezzo di un ruolo,  definito come  “un insieme di attributi e di prescrizioni generati dalla posizione che una persona occupa occasionalmente o stabilmente nell'interazione sociale” (Salvini, 2004, p. 176).

I Teorici dell’Etichettamento apportano una vera rivoluzione nello studio della sociologia e della psicologia della devianza: si assiste a un significativo cambiamento di prospettiva nel guardare il fenomeno deviante.
Sebbene non fosse intenzione degli stessi autori produrre una teoria in cui l'etichettamento costituisse l'aspetto centrale, il nucleo di quella che sarà definita “Teoria dell'Etichettamento" consiste nello studio della reazione sociale e dell'insieme delle condizioni sociali che concorrono alla produzione della devianza.
La “Teoria dell'Etichettamento”, in quanto diretta diramazione dell'Interazionismo Simbolico, si colloca pienamente in una prospettiva epistemologica di tipo antropomorfico, assumendo nello studio del comportamento umano una scelta teorico-metodologico volta non tanto a ricercare i nessi causa-effetto, quanto piuttosto i rapporti per implicazione logica, che richiedono una spiegazione che enunci “ragioni”, piuttosto che “cause” (Harrè e Secord, 1972; Fiora et al., 1988).
 In quest'ottica, anche le condotte devianti sono espressione di una scelta intenzionale di un individuo in grado di pianificare il proprio agire, definire le situazioni, contrattare i significati, porsi delle ragioni in vista di un obiettivo. Anche il “drogarsi”, in quanto insieme di azioni mediate da significati, si caratterizza come un agire intenzionale, finalizzato alla realizzazione di obiettivi e all'appagamento personale (Passi e Salvini, 1982).
E' rilevante ai fini del presente studio la distinzione compiuta da Lemert (1967, 1972) tra devianza primaria e devianza secondaria, differenza che ci aiuta a comprendere perché non tutti gli atti devianti sono seguiti da significativi cambiamenti dell'identità personale. Nella devianza primaria la trasgressione non viene etichettata socialmente, può avvenire in vari contesti sociali senza implicare modificazioni di status o l'assegnazione di uno stabile ruolo deviante. In questo caso la trasgressione normativa non ha prodotto cambiamenti nei riferimenti identitari individuali.                                            
La devianza secondaria, invece, segue un preciso processo di etichettamento e stigmatizzazione. Quest'ultima è definita da Lemert stesso come “un processo che conduce a contrassegnare pubblicamente delle persone come moralmente inferiori, mediante etichette negative, marchi [...] o informazioni pubbliche diffuse” (1972, p. 91). La devianza secondaria riguarda quegli atti devianti e i ruoli basati su essi che costituiscono una modalità con cui il singolo si adatta alla reazione della società alla sua devianza. “Uno degli effetti psicologici del processo di deviazione secondaria è la ricostruzione del sé e quindi dell'identità da parte del deviante, in modo da farli coincidere, più o meno stabilmente, con il comportamento stigmatizzato.” (Salvini, 1981, p.XXI). Si è attivato un processo di significazione che contribuisce al cambiamento dell'autorappresentazione in senso deviante.                                                                              
Particolarmente utile per il presente lavoro, è la distinzione di De Leo (1982) tra tossicodipendenza primaria (i comportamenti legati alla tossicodipendenza rimangono in una sfera privata o elaborati esclusivamente all'interno del proprio gruppo, senza diventare azioni sociali) e tossicodipendenza secondaria (i comportamenti si configurano come problema sociale e vengono elaborati come azioni sociali all'interno di situazioni pubbliche o specifiche istituzioni.).                                         
Kitsuse (1980, 1999) sostiene inoltre che si possa parlare  di devianza terziaria, indicando quei gruppi di categorie discriminate che tentano di affermare i propri diritti, opponendosi agli stigmi applicati al loro modo di vivere.

Per la Teoria dei Costrutti Personali, l’uomo non è inteso come  insieme di tratti di personalità, bensì come presenza vera, il centro di un processo di significazione della realtà, egli stesso un sistema di significati originale. La persona è definita “ricercatore”, “scienziato”, “teorico”, impegnato a costruire sempre nuove ipotesi sul mondo che verranno poi messe alla prova, tanto che la stessa conoscenza scientifica è considerata un prolungamento più rigoroso e controllato della conoscenza della vita quotidiana.
A livello formale, la Teoria dei Costrutti Personali è organizzata in un postulato fondamentale che si articola in undici corollari.
Nel postulato fondamentale viene esemplificata la concezione kelliana di uomo: “i processi di una persona sono psicologicamente canalizzati dal modo in cui essa anticipa gli eventi”.  L'attenzione è posta sulla persona, intesa come processualità in movimento, costantemente impegnata in un'attività di interpretazione e re-interpretazione di sè e del mondo. Lo studio del comportamento umano non concerne le reazioni dell'individuo all'ambiente o al proprio passato, bensì l'agire intenzionale, finalizzato, progettato.
L'unità discriminante fondamentale con cui si verifica il processo di costruzione viene definita da Kelly costrutto, intendendo una dimensione di senso, “un asse di riferimento, un criterio fondamentale di valutazione”, che può essere “esplicitamente formulato o implicitamente agito, verbalmente espresso o totalmente inarticolato, intellettivamente ragionato o vegetariamente sentito” (Kelly, 1955, p. 9).
I costrutti forniscono la base per l'attribuzione di significato alla propria esperienza, secondo una modalità personale, unica e irripetibile. Proprio per questo,  potremmo considerare i costrutti come atti di conoscenza (Armezzani 2003, p. 33), il punto privilegiato da cui osservare e costruire il nostro mondo.
In questa accezione, il costrutto consente sempre di riconoscere due cose simili e differenziarle da una terza. Kelly mette in evidenza la natura bipolare e dicotomica che definisce ogni costrutto. Si considera  polo emergente il polo di un costrutto che abbraccia la maggior parte del contesto direttamente percepito, mentre per polo di contrasto si intende il polo che riguarda il contesto di contrasto, spesso mancante di un simbolo che ne medi l'espressione da parte della persona.
I due poli formano un continuum semantico, un campo di pertinenza, che definisce il limitato campo di applicazione lungo il quale vengono discriminati e interpretati determinati eventi (detti in questo caso elementi). Si consideri comunque la bipolarità dei costrutti come un'ipotesi teorica proposta dallo stesso Kelly, “viabile” (Von Glasersfeld, 1980, 1995) per gli obiettivi che ci si propone, ma non necessariamente riscontrabile negli atti conoscitivi delle persone.

2.4 Tossicodipendenza e Tossicofilia
Per uno studio del comportamento del consumatore di sostanze psicoattive, è utile far riferimento a due concetti, non antitetici o integrabili, bensì complementari. Con il costrutto di tossicodipendenza ci si riferisce al bisogno incoercibile e compulsivo di assumere una sostanza per mantenere un certo equilibrio fisiologico ed evitare gli effetti spiacevoli della crisi di astinenza. E' una condizione psicobiologica indotta da  un'assunzione frequente.
Il costrutto di tossicofilia permette di far riferimento alla storia, agli scopi, ai vissuti intenzionali del consumatore. Per tossicofilia s’intende infatti la ricerca degli effetti della sostanza psicoattiva, al fine di modificare intenzionalmente il proprio stato mentale e corporeo ed accedere a particolari esperienze cognitive ed emotive dotate di senso e significato (Salvini, 2002). In questo modo si cerca di non disgiungere la gratificazione sul piano psicobiologico dai significati socialmente attribuiti e culturalmente appresi. E' possibile allora gettare uno sguardo sull'esperienza psicologica di un attore sociale che “prende la droga” all'interno di un contesto normativo-simbolico, da cui mutua valori, significati, ragioni che costituiranno la matrice interpretativa degli effetti percepiti della sostanza stessa.
In quest'ottica, il tossicofilico appare come una persona motivata, interessata agli effetti della droga, attiva, in grado di organizzare i propri atti verso un fine. Si cercherà dunque di studiare i complessi sistemi simbolici, le attese, la rete di relazioni all'interno delle quali avviene l'assunzione. Assumere una droga significa inserire nella propria memoria autobiografica un'esperienza somatopsichica gratificante, significativa, connessa ad esperienze gruppali all'interno di cornici normative e simboliche, in cui impersonare un ruolo deviante e trovare complicità lessicale e narrativa. L'esperienza diventa così un importante riferimento nella costruzione identitaria.