Identità di Genere e Orientamento Sessuale. Uno Sguardo fra Paura e Desiderio

Claudio Fasola

Introduzione
Offrire una panoramica su due dimensioni dell’esistenza, quali identità e orientamento sessuale, genera un percorso alquanto complesso, se si pone come proprio obiettivo il delineare nuovi e soprattutto utili significati a questi due termini, abbandonando le suggestioni del senso comune e le influenze della scienza del lunedì sera.
L’identità personale e di conseguenza quella di genere, oltre a molteplici studi psicologici, ha mosso riflessioni in numerose discipline umane, è sufficiente ricordare, limitandosi ad epoca recente, Pirandello nella letteratura, Picasso nella pittura, Kubrick nel cinema, Honneth nella filosofia e più in generale agli autori assimilabili a posizioni postmoderniste. È all’interno di questa matrice di significati che è possibile trovare una nuova serie di coordinate, attraverso cui tracciare alcune riflessioni.

Les Demoiselles d'Avignon - Pablo Picasso 

Les Demoiselles d'Avignon, Pablo Picasso, 1907

Posizionare l’Identità

Il primo aspetto da affrontare, nello studio di questi temi, è al contempo il più critico e consiste nell’individuare l’adeguato piano di realtà a cui attribuire tali costrutti.
L’identità non appartiene al singolo individuo e contrariamente a quanto il buon senso potrebbe suggerire non è nemmeno mai uguale a se stessa.
Affermare che l’identità non si esaurisce negli spazi fisici occupati da un soggetto sposta gli orizzonti del discorso, abbandonando gli spazi dell’anatomia, della fisiologia e della biochimica e gli angusti limiti dettati dalle pareti di un laboratorio di ricerca, inoltrandosi nel mondo plurale e cangiante delle interazioni e delle relazioni umane.
L’identità quindi non risiede pervasivamente nel cervello, nel corpo, nell’anima o nel cuore, ma è identificabile come un emergente interattivo, collocabile in una dimensione mediana fra il soggetto, inteso come entità univoca, e le realtà concettuali e culturali, rispetto alle quali è costruttore e costruito, nelle quali agisce.

 

Senza una dimensione altra, nella quale rispecchiarsi, non esisterebbe nessuna identità

Posizionamento e Quotidianità

Il senso di quanto affermato può essere chiarito grazie ad un semplice esempio.
Immaginate di trovarvi in un ampio salone, arredato con eleganza, impreziosito da dipinti che testimoniano l’estro e la creatività umana e di fronte a voi avete due porte.
La porta di destra conduce in una stanza dove vi aspetta vostra madre o vostro padre, mentre quella di sinistra offre allo sguardo, mollemente accomodata, la bramosia della vostra passione erotica. Appare evidente come la persona che entra nelle due stanze non sia la medesima, i due incontri generano mondi talmente diversi per cui solo un occhio capace di vedere una continuità biochimica può perpetrare l’idea dell’esistenza di una medesima persona, ma tale sguardo è incapace di cogliere la pluralità delle dimensioni identitarie ed i suoi discorsi possono limitarsi al rilevamento della tensione muscolare, ma sono muti di fronte ai significati che generano una tale realtà
Continuando con una analogia si può affermare come negli scacchi ogni pedina svolge una funzione specifica, le cui caratteristiche non possono essere comprese se non inserendole all’interno del sistema di regole che predispongono le dinamiche del gioco, allo stesso modo le persone e le loro identità non sono riducibili al frutto di menti ermetiche, ma possono essere comprese solo all’interno di un processo di costruzione sviluppatosi in relazione con un contesto storico, sociale e normativo.
Le persone divengono il prodotto di una rete collettiva di menti pensanti, la cui natura non può mai essere autonoma dato che ogni pensiero ed ogni azione scaturisce dall’interazione con l’altro.
Ignorando la complessità dell’universo relazionale su cui sono ancorate la realtà, l’identità personale e le modalità utilizzate per descriverla, si osserva un fenomeno astratto, configurato tramite fumose euristiche di pensiero, costruito attraverso la retorica della tecnica scientifica e corroborato dalle suggestioni del senso comune che conferiscono un significato parziale all’universo relazionale in cui l’uomo si trova a vivere.

Memoria Autobiografica. Tra continuità e coerenza

L’identità personale, sebbene si configuri in termini plurimi, subisce i tentativi di essere piegata ad una coerenza capace di imbrigliare le infinite possibilità auto ed etero rappresentative della persona. La memoria autobiografica e i racconti con cui si traccia la storia di una vita contribuiscono a dare forma ad un mondo, o meglio ad un romanzo, coerente, nel quale le persone giocano il ruolo, a volte scomodo, a volte divertente, di se stessi.
L’uomo riesce a dare un senso di continuità psicologica al viso che ogni giorno abita gli specchi della propria casa; i cui lineamenti possono ancorare le possibilità di futuro e gli spazi di cambiamento alle capacità dell’individuo di cogliere nuove sfumature di colore, nell’iride dei propri occhi.

Identità di Genere. Oltre il vincolo biologistico

Su questo ordito, teorico e narrativo, si può disporre l’identità di genere, la quale, sebbene si ancori saldamente ad una evidenza osservativa e quindi sfugga a parte dei nostri discorsi, risulta appartenente ad una trama molto più ambigua di quanto si possa pensare.
A questo proposito risulta illuminante un brano di Jan Morris tratto dal libro Conudrum (1974)“Ci dicono che il gap sociale tra i sessi si va restringendo, ma io posso solamente affermare che, avendo vissuto entrambi i ruoli nella seconda metà del XX secolo, a mio avviso non c’è aspetto della vita, momento del giorno, contatto, accordo, risposta, che non siano diversi per uomini e donne. Lo stesso tono di voce con cui mi si rivolgeva la parola, la stessa postura della persona in coda accanto a me, la stessa atmosfera che percepivo entrando in una stanza o sedendo al ristorante, costantemente sottolineavano il mio cambiamento di stato. E se mutavano le risposte degli altri, cambiavano anche le mie. Più venivo trattata da donna, più diventavo donna. Mi adattai, volente o nolente. Se si presumeva che non sapessi riparare l’auto o aprire una bottiglia, stranamente scoprivo che la mia capacità di farlo si andava perdendo. Se si pensava che una valigia fosse troppo pesante per me, inesplicabilmente la trovavo anch’io troppo pesante”.
Morris, data la sua scelta di transitare da una identità di genere all’altra, ha avuto una limpida visione degli impliciti generativi che danno vita allo strutturarsi dell’identità di genere.
Numerose ricerche, in continuità con quanto detto, hanno mostrato come gli adulti utilizzino azioni ed atteggiamenti radicalmente differenti con bambini di sesso diverso, anche il modo di abbracciare o di vezzeggiare il piccolo è differente. Inoltre nella maggior parte dei casi di “sesso incerto”, dovuto a parziali malformazioni o al mancato sviluppo degli organi genitali esterni, il bimbo tenderà ad accettare una dimensione identitaria coerente con i rispecchiamenti avuti durante la sua crescita.
Detto questo è importante chiarire come l’individuo non si muova, su questo palcoscenico, come una marionetta, ma egli è, al contrario, attivo e partecipe nella definizione della propria identità; è anche in virtù di questo processo che il mondo relazionale, nel quale interagisce, è ricco di differenze e di imprevedibilità e non si configura come una recita scontata.

Regole di complementarietà nei processi identitari

La costruzione dell’identità di genere non può essere compresa al di fuori delle complementarietà che regolano lo strutturarsi dell’identità maschile e di quella femminile.

 

In The Mood For Love, Wong Kar Wai, 2000


La matrice simbolica, i prototipi e gli stereotipi condivisi in un certo contesto sociale e configurati come significativi da un individuo, divengono costitutivi del proprio concetto di sé e della propria identità di genere, regolando ed ordinando i diversi stili relazionali messi in atto per interagire con gli individui di sesso opposto. Il sentire e l’agire in modo coerente al tipo di interazione in atto, adeguando rappresentazioni di sé, stili narrativi e condotte d’azione in funzione del tipo di rapporto che una donna od un uomo decide di costruire dialogicamente con il proprio interlocutore, contribuisce ad orientare, in modo complementare, l’agire maschile e femminile.
In una interazione fra uomo e donna, ciò che possiamo descrivere come identità femminile, può essere intesa come una dimensione dipendente dal grado di reciprocità che contrassegna la relazione stessa.
L’uomo conosce per differenze, questo vale sia per cogliere le difformità di saturazione in una carta colore, sia per configurare un comportamento come strettamente maschile o femminile.
Riprendendo quanto detto si può affermare che l’agire di un individuo dipende non solo dalle sue peculiarità psicologiche, come tante teorie della personalità hanno pontificato per anni, ma è altrettanto legato a chi significa i contesti di senso all’interno dei quali si trova. Le diverse tipologie dei rapporti interpersonali, che si intrattengono con gli altri, favoriscono l’affioramento di diverse e specifiche rappresentazioni di sé, generando quindi una danza, ritmata dai continui adattamenti situazionali dell’identità. Senza le situazioni sociali, nelle quali ci si trova costantemente ad interagire, sarebbe tolta la capacità di costruire i ritratti nei quali una persona desidera rispecchiarsi.
L’azione di un individuo, per essere sessualmente connotata, va vista in relazione al partner, per cui le azioni della donna e dell’uomo dipendono sia dalle proprie aspettative, sia da quelle dell’altro. Queste aspettative tendono a rinnovare modalità relazionali già sperimentate, lo stratificarsi biografico e ricorrente di interazioni complementari diviene la principale fonte di materiale attraverso cui le persone costruiscono l’immagine di sé ed il proprio senso di identità.
Gli studi sull’interdipendenza tra identità maschile e femminile, hanno rilevato che talvolta sono le azioni del partner a dare forma e consistenza psicologica all’immaginario maschile e femminile, suggerendo l’idea che nemmeno le fantasie più intime possono esistere senza l’orizzonte di senso che fornisce l’altro.
Le aspettative incrociate e condivise, socialmente prestabilite, che regolano i rapporti di ruolo, sia sociali, sia interpersonali anche intimamente connotati, inducono uomini e donne ad enfatizzare certe dimensioni psicologiche a scapito di altre. L’accentuazione delle differenze corporee ne è un chiaro esempio.

Ricerca e Riconoscimento
Gli antropologi hanno confermato come tutte le culture umane ricorrono a complessi artifizi per enfatizzare il dimorfismo somatico (l’aspetto fisico: morfologico, simbolico ed espressivo) e quello psicologico (suscettibilità e reattività emotiva, schemi di comportamento, regole e rituali di relazione, modalità sintattiche e lessicali del linguaggio, ecc.).
Il mantenimento del dimorfismo e la sua accentuazione somatica, sociale e psicologica può essere interpretato come una strategia, culturalmente mediata, tesa a mantenere vivo l’interesse sessuale. L’identità femminile e quella maschile, anche in virtù dei processi cognitivi e sociali che accentuano le loro differenze, sono configurabili, come si è già visto, in una reciprocità stereotipica.
Lo svolgimento e lo sviluppo di una relazione non dipendono, in modo esclusivo, dai partecipanti, ma anche da come questi sono predefiniti dal contesto, dalle regole situazionali, dai contenuti e dalla sua evoluzione.

Transiti identitari

I processi che coinvolgono il cambiamento dell’identità di genere biologicamente assegnata non possono essere assegnati e risolti ad istanze di tipo intrapsichico ed inoltre non è possibile ridurre a questa dimensione le criticità a cui un individuo è sottoposto nel momento in cui intraprende questo percorso di riconfigurazione identitaria.
Una persona che sta vivendo una transizione da una identità sessuale ad un’altra deve sviluppare una raffinata capacità nel comprendere le regole implicite e le modalità di risposta più appropriate in relazione al sesso che impersona in un certo momento e quindi congruente o con quello anagrafico o con quello verso cui sta orientando la propria scelta di identità. Questo processo avviene in continuità con la situazione in cui la persona si trova e con il tipo di relazione che costruisce con chi ha di fronte, risultando quindi legata alla versione di sé proposta all’interlocutore.
La costruzione ed il mantenimento di una identità di genere, accettabile ed accettata, credibile e competente nelle diverse configurazioni di ruolo e soggettivamente appagante, è un compito critico, che nella persona transessuale, data la sua ulteriore complessità, presenta, il più delle volte, risvolti di sofferenza emotiva, disadattamento, conflitto e smarrimento esistenziale.
Alcuni aspetti delle rappresentazioni di sé assumono e contengono il punto di vista dell’altro sessualmente complementare. Prendere come riferimento implicito il punto di vista altrui, a controllo della gestione della propria identità sessuale, è una operazione complessa. Questo processo regola l’interazione fra le persone, svolgendo un ruolo importante nella costruzione delle rappresentazioni di sé e dell’identità sessuale.
Ovviamente la configurazione dei ruoli, e dei loro correlati psicologici, è regolata culturalmente e si declina con tutte le varianti possibili, associate alle situazioni interattive e agli attori che decidono la natura della loro relazione. Il ruolo sessualmente significativo per l’identità può essere attribuito pubblicamente su base stereotipica e soggettivamente indotto dai bisogni, fantasie o necessità a cui l’altro diviene complementare, uomo o donna che sia.
In questo processo rientra la possibilità che uomini e donne possano assumere su di sé il punto di vista di una donna o di un uomo particolare, non solo in base ai ruoli espliciti, definiti dalla situazione pubblica, ma anche in relazione alla intenzionalità soggettiva. Da questa sequenza interattiva si genera un complicato gioco di specchi e di teorie personali, in base alle quali gli individui costruiscono delle ipotesi su come funzioni la mente dell’altro.
Questo processo interpersonale diviene particolarmente rilevante nella vita psicologica della persona transessuale, la quale dipende dal punto di vista degli altri a lui sessualmente complementari, che gli offrono la possibilità di utilizzare gli schemi interattivi più adatti ad impersonare un ruolo sessualmente adeguato, accettabile e credibile.
Le persone sessualmente in transito vivono due dimensioni critiche e sono dipendenti e problematizzati sia dal fatto che gli altri gli riconoscano un’identità sessuale, sia dal giudizio interiorizzato che utilizzano privatamente nei confronti di se stessi.
Considerando che durante l’iter biografico il transessuale entra in contatto con punti di vista diversi, data la metamorfosi e le transizione verso una certa configurazione dell’identità pubblica, le sue modalità di raccontare se stesso e il proprio mondo relazionale possono risultare problematiche e conflittuali.

Sguardi passati e sguardi futuri
Il punto di vista dell’altro non è solo un punto di vista reale e contingente, ma è anche quello che, attraverso un processo dissociativo, il transessuale ospita in una parte di sé come esperienza, fantasia o immagine ideale. Il suo sentirsi uomo o donna talvolta ospita un punto di vista personale che appartiene al ruolo sessuale a cui è stato inizialmente assegnato e che ha dovuto impersonare in certi momenti della sua vita.
Questa dimensione lo lega a quella parte di sé che vorrebbe rimuovere, ma che nessun trattamento ormonale può modificare e nessun bisturi eliminare.
Certi transessuali riferiscono una sorta di coscienza autocritica che li porta ad osservare in modo ironico il loro affaccendarsi ad organizzare le impressioni di conferma di se stessi e degli altri, mentre al tempo stesso, in una sorta di sdoppiamento sentono di vivere con disperazione l’idea di dover essere il riflesso di una scena, piuttosto che la sostanza stessa della scena.
In certi casi al transessuale è più facile indovinare le intenzioni, i pensieri e le attese del precedente ruolo maschile, rispetto a quello femminile di cui è meno competente. La costruzione della propria seduttività femminile può avvenire per imitazione del modo di essere donna, selezionando quei tratti e quelle forme espressive che sono percepite come significative da un occhio maschile.
Il transessuale impara ad essere donna, non solo recuperando dalle situazioni di vita gli adeguati repertori emozionali e comportamentali, ma utilizzando anche il suo occhio maschile, che può configurarsi come più funzionale rispetto al suo sentimento di identità femminile a cui non è stato dato di sperimentarsi attraverso una convenzionale attribuzione di ruolo.

 

Eyes Wide Shut, Stanley Kubrick, 1999

Produrre una certa rappresentazione di sé vincola il transessuale ad un sistema normativo di regole e di significati che è quello della psicologia del senso comune, da cui mutua i modelli del suo essere uomo o donna.
Ma poiché si è uomo e donna non solo per un sentimento interiore, ma anche per una costante conferma esterna, che fornisce le adeguate maschere espressive, il transessuale vive una doppia dipendenza costituita dallo sguardo dell’altro, inteso come esperienza quotidiana e concreta, ma anche da ciò che di questo sguardo ha interiorizzato.
L’interiorizzazione dell’altro generalizzato significa guardarsi e valutarsi, senza accorgersi quanto del racconto e delle azioni, che sono elaborate privatamente, appartengono ad uno sguardo pubblico.
Il transessuale fino ad un certo punto della sua vita ha vissuto con una doppia identità e pur misconoscendo e rifiutando il ruolo sessuale a cui è stato socialmente assegnato, si è trovato ad impararne la lingua e il punto di vista. Con il risultato che nel suo essere pienamente donna o uomo, finalmente ricongiunto con il suo sentimento più intimo, interverrà comunque l’occhio della sua vecchia identità, attraverso cui è stato costretto a manifestarsi pubblicamente.
Le autobiografie dei transessuali, nello sforzo di negare ogni forma di ambivalenza e di doppia dipendenza e costruite dalla necessità di dimostrare di essere veramente un uomo o una donna, lasciano trapelare, anche nella scelta delle loro prove identitarie, il ricorso ad un occhio femminile o maschile, a cui pensano di aver rinunciato [1].

Conclusioni

Le scelte, le passioni, i desideri, gioiosi o disillusi, si declinano in infinite varianti e la volontà di racchiudere le possibilità umane in un prontuario psicopatologico o in un raffinato sistema nosografico non appartiene agli orizzonti in cui una psicologia della comprensione deve tendere.
Implicite categorie di ordine morale o normativo oltre a ritagliarci abiti da censori, per quanto eleganti ed affascinanti possano essere, ci separano inevitabilmente dai nostri temi di studio, condannandoci a ragionare nei termini di giusto e sbagliato e non in quelli, certamente più complessi, che ci possono avvicinare alle paure e ai desideri dell’altro.
“Nel corso della storia noi uomini abbiamo inventato degli strumenti per favorire le nostre inclinazioni culturali e poi siamo divenuti soggiogati da questi stessi strumenti, arrivando ad evolvere le rappresentazioni della nostra identità per poterci adattare” (Bruner, 2002, pg. 76).
Sembra che il desiderio e la sua soddisfazione si rincorrano, tracciando una serie di circolarità concentriche, dove lo scarto fra il desiderio di raggiungere il nostro sogno e la paura di non riuscire a coglierlo diviene tanto più evidente quanto il nostro obiettivo permette di travalicare le dimensioni dell’umano per regalarci un potere o un’illusione, che la nostra tradizione culturale ha relegato ai miti e agli dei che li popolano.

Riferimenti Bibliografici

2002. Remo Bodei, Destini personali, Feltrinelli, Milano
2002. Jerome Bruner, La fabbrica delle storie, Laterza, Bari.
2005. Claudio Fasola, L’Identità, l’altro come coscienza di sé, Utet, Torino.
1992. Axel Honneth, La lotta per il riconoscimento, Il Saggiatore, Milano, 2002.
2004. Luciano Mecacci, Psicologia moderna e postmoderna, Laterza, Bari.
1974. Jan Morris, Conundrum, Harcourt Brace Jovanovich, New York.
1993. Alessandro Salvini, Personalità femminile e riproduzione umana, Lombardo, Roma.
1998. Alessandro Salvini, Psicologia Clinica, Upsel, Padova.
2000. Davide Sparti, Identità e coscienza, Il Mulino, Bologna.

[1] Per semplificare l’esposizione si è sempre fatto riferimento ad un orientamento sessuale eterodiretto, anche nei casi in cui una delle parti della coppia impersoni un’identità non biologicamente veicolata, ma è evidente come nella molteplicità delle situazioni relazioni si possano generare situazioni differenti, ad esempio persone transessuali che hanno abbandonato una identità maschile per abbracciarne una femminile che una volta raggiunta la loro nuova identità manifestano un orientamento omosessuale.