L'integrità dell'anima. Storie di donne vittime di violenza. Le nuove prassi di intervento

Silvia Lelli

3. Le diverse psicoterapie

A questo punto diviene interessate elencare e descrivere brevemente  alcuni approcci che, finora, sono stati scelti ed utilizzati all’interno di quella che viene definita, per semplicità, “presa in carico”
di donne vittime di violenza intrafamiliare  e perciò nella costruzione e condivisione di un percorso psicoterapeutico.
Il numero e la varietà delle psicoterapie ovviamente non agevolano la scelta di un particolare metodo terapeutico.
 In Francia, come in altri paesi 5, le terapie psicoanalitiche sono nettamente preponderanti e relegano un po’ nell’ombra altri metodi, più adatti, forse, all’immediata presa in carico della vittima.
Ciò dipende dal fatto che la psicoanalisi ha saputo imporre un corpus teorico diffusosi ovunque, nella cultura, come un riferimento generale (Hirigoyen, 2000).

3.1. Le psicoterapie cognitivo-comportamentali
Gli interventi, all’interno di tale approccio, possono essere numerosi.
Il primo può operare, per esempio, a livello dello “stress”. Mediante tecniche di rilassamento, la persona può imparare  a  ridurre la sua tensione, i disturbi del sonno e l’ansia.
Si può quindi imparare a “dominare” una reazione di collera con il rilassamento e il controllo della respirazione.
Altri tipi di intervento fanno riferimento a specifiche tecniche di affermazione di sé.
I terapeuti comportamentisti, partono dal presupposto che le vittime di violenza sia fisica che psicologica siano persone “passive”,  insufficientemente affermate, prive di fiducia in sé stesse (anche se spesso le vittime sono persone che sanno bene affermarsi in campi differenti da quello affettivo - relazionale); mediante le tecniche di affermazione di sé le vittime possono imparare a riconoscere la manipolazione, a vedere che con un perverso (Hirigoyen, 2000) non è possibile alcuna comunicazione “funzionale”6   e a rimettere in discussione i loro schemi di comunicazione ideale.
Le terapie comportamentali vengono a volte associate a terapie più strettamente cognitive attraverso l’utilizzo di tecniche, per esempio, di blocco del pensiero legato alle violenze subite oppure a tecniche che consentono di acquisire competenze per gestire le difficoltà presenti, che nel caso di vittime di violenza potrebbe consistere nell’imparare a contromanipolare.
La ristrutturazione cognitiva, infine, può aiutare la vittima a colorare di nuovi significati la situazione vissuta, a riconoscere ed a sopportare lo sconforto che accompagna il ricordo (nel caso di esperienze passate) della violenza, ad ammettere la propria impotenza.

3.2. La pratica ipnotica
L’utilizzo dell’ipnosi (Freud, Roustang, Erickson),  con vittime di violenza,  parte dal presupposto dell’esistenza di un trauma; metodi, quindi, che si basano sulle capacità dissociative, particolarmente sviluppate nelle vittime di violenza (trauma).
A tal proposito,  F. Roustang insegna che la censura introdotta dall’ipnosi  è dello stesso tipo di quella operata dal trauma: separa il “sopportabile” dall’ “insopportabile”, destinato all’amnesia.
Sono, quindi, metodi che si propongono di aiutare le vittime a sviluppare nuove prospettive che riducano la sofferenza dovuta al traumatismo (Hirigoyen, 2000).
Secondo tale prospettiva, l’ipnosi può consentire alla persona di reinventare il proprio mondo, eludendo le sue strategie di fallimento in favore del cambiamento.

3.3. Le psicoterapie sistemiche
Secondo l’approccio sistemico l’attenzione deve essere focalizzata sulla comunicazione e sull’individuazione dei diversi membri di un gruppo, sia esso coppia o famiglia.
Quindi, un intervento di tipo sistemico tiene conto dei processi di circolari di rafforzamento, all’interno del sistema,  dove non viene riconosciuto un aggressore ed un aggredito bensì una relazione patologica.
Il rischio, circa l’applicazione di tale modello, potrebbe essere quello di perdere di vista la tutela dell’individuo.
Appare molto utile, d’altro canto, analizzare i processi circolari al fine di smorzare le situazioni che presentano una certa flessibilità (sulla base dell’esperienza personale numerose terapie di coppia e familiari vengono proposte, in casi di violenza intrafamiliare, quando ci siano le condizioni ma spesso vengono interrotte o non hanno mai inizio…).
M. F. Hirigoyen (2000) parla dell’ impossibilità di mettersi in discussione da parte del perverso narcisista (come viene da lei definito) nel caso in cui venga proposto un consulto di terapia familiare o di coppia.

3.4. La psicoanalisi
Una “cura” psicoanalitica pare non essere adatta a una vittima duramente provata dalla violenza subita, sia essa psicologica o fisica; almeno non in un primo momento. Infatti la psicoanalisi si interessa di ciò che viene definito l’intrapsichico e non tiene conto delle patologie che il rapporto con l’altro ha indotto.
Solamente quando la vittima avrà recuperato forza a sufficienza potrà iniziare un percorso anche di tipo psicoanalitico volto al richiamo volontario del ricordo e all’elaborazione.
Quindi è indispensabile per la persona, prima di un lavoro di “profondo rimpasto psichico”, il recupero di tutte le sue forze (attraverso, per esempio, interventi volti ad ottenere un miglioramento sintomatico).


5 il corsivo è mio.

6 il corsivo è mio.