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L'integrità dell'anima. Storie di donne vittime di violenza. Le nuove prassi di intervento
Silvia Lelli
6. “L’integrità dell’anima”
Il titolo di questo lavoro non nasce casualmente; lo spunto ha avuto origine dal lavoro di Jean Yves Hayez, psichiatra infantile belga.
In un suo interessante articolo 1 Hayez delinea alcuni “nodi” teorici centrali su il tema dell’abuso infantile e propone alcune linee guida e pratiche di contrasto alla violenza; pratiche di contrasto che si possono applicare, contestualizzandole, alle problematiche riscontrate con le donne vittime di violenza intrafamiliare.
Due appaiono i punti rilevanti:
Hayez, nel descrivere le prassi d’intervento con i bambini abusati, afferma come sia importante non ridurre il bambino alla sua dimensione di “vittima”; gli obiettivi divengono quelli di favorire la capacità di azione del bambino, il suo essere propositivo all’interno della situazione di violenza che sta vivendo o ha vissuto (esempio: far apprendere ai bambini “il porsi in maniera maggiormente attiva e difensiva” nei confronti dell’aggressore);
Hayez sottolinea la necessità di uno spazio di sostegno o terapeutico, di discussione, all’interno del quale sia possibile la creazione di un’immagine “nuova” della situazione e dell’aggressore da parte del bambino; ciò attraverso quella che Hayez definisce “l’integrità dell’anima” (“l’intégrité spirituelle”) . Il suo corpo può subire l’aggressione, la violenza, l’abuso. L’aggressore non può, però, impadronirsi della sua “anima”, dei suoi pensieri, dei suoi valori che “illesi” divengono forza, potere, risorsa.
Tutto ciò acquista un nuovo significato se “applicato” al campo della “violenza di genere”.
Qui il lavoro ha più obiettivi; ciò che si cerca di trasmettere è che la donna, vittima di violenza, è partecipe attiva di tutto ciò che le succede, e perciò non relegata a “semplice vittima degli eventi”, capace di scelta e forte nella consapevolezza delle proprie risorse. “Traguardo” importante di un percorso anche psicoterapeutico.6.1 L’anima quale metafora.
Diviene necessario, a questo punto, soffermarsi su ciò che ho scelto come titolo del presente lavoro. Come già accennato sopra, la mia scelta prende spunto dal lavoro sull’abuso minorile; da un punto di vista strettamente religioso l’anima2 viene definita quale parte spirituale ed immortale dell’uomo.
L’anima diviene, alla luce del presente lavoro, un costrutto utile nell’affrontare il lavoro con le donne vittime di violenza nella misura in cui il termine stesso di “anima” viene utilizzato quale metafora all’interno di un percorso terapeutico. Metafora, offerta dal terapeuta, che può rappresentare particolari lenti con le quali osservare. Una sorta di metafora della metafora (vedi paragrafi precedenti).
Lo stesso Jay Haley nel suo lavoro “Terapie non comuni”(1973) afferma come il cambiamento possa essere raggiunto quale obiettivo comunicandolo in forma di metafora .
Nel descrivere il lavoro di Milton Erickson come un modo di affrontare il problema di un soggetto che resiste alle direttive del terapeuta possa essere quello di comunicare in forma analogica o metaforica. Se il soggetto oppone resistenza ad A, il terapeuta può parlare di B e quando A e B sono in rapporto metaforico, il soggetto farà questo collegamento “spontaneamente” e risponderà in maniera adeguata […]. Erickson nel comunicare spesso con i suoi pazienti non interpreta il significato della metafora al suo interlocutore. Sembra che sempre secondo Erickson la “profondità” e la “radicalità” del cambiamento possano essere ostacolate se la persona è costretta a subire una traduzione della comunicazione.
La figura metaforica dell’ “integrità dell’anima”, nel presente lavoro, vuole fungere da macrocornice entro la quale poter far rientrare tutto ciò che accade in un percorso di sostegno e terapia con una donna vittima di violenza dove l’anima, sempre in senso metaforico, può racchiudere tutto ciò che la donna stessa porta come intatto, integro nonostante la violenza subita.1 J., Y., Hayez, Maltraitance dirigée contre les enfants en Belgique francophone, Acta Psichiatrica Belgica (rivista), 2005.
2 dal latino anima, da avvicinare al greco “anemos” che significa “vento e soffio”.