|
||||||||||||||||||
L'integrità dell'anima. Storie di donne vittime di violenza. Le nuove prassi di intervento
Silvia Lelli
7. L’intervento all’interno della cornice
“Per farsi salvare
la vita
bisogna averla”
(“Aforismi e magie”, A. Merini)All’interno di tale macrocornice quindi possono acquistare senso interventi focalizzati a sottolineare gli aspetti positivi (Haley, 1976).
Milton Erickson, convinto circa l’esistenza di un naturale desiderio di crescita nelle persone ed una maggiore possibilità di una loro collaborazione, ridefiniva ciò che le persone facevano e quindi portavano in terapia; egli non minimizzava le difficoltà ma trovava in esse degli aspetti per far migliorare la situazione.
Il percorso terapeutico con una donna vittima di violenza può essere visto come un lavoro congiunto di ri-scrittura di una storia a partire da una narrazione iniziale (quella della donna) senza perdere di vista che si parte comunque da un’insieme di valori, credenze, convinzioni; sistemi di credenze e valori, che come afferma Michael White, possono costituire la struttura narrativa entro la quale essere “imprigionati” ma ugualmente poter essere utilizzati quali importanti risorse delle quali tener conto in un percorso di cambiamento.
I sistemi di credenze vengono pensati, non come rappresentazioni di eventi reali, bensì quali storie che gli esseri umani si narrano per organizzare e interpretare la loro esperienza. Sono costrutti costruiti socialmente all’interno di un contesto, in una cultura, in un momento storico, e determinate dai rapporti e dagli stati d’animo.
Lo stesso White considera la terapia quale contesto in cui la ri-scrittura, di cui sopra, può avvenire. Lo stesso autore, in tale lavoro di ri-scrittura, non trasforma le sequenze in situazioni più drammatiche o differenti; né propone connessioni inesplorate o fa emergere nuovi romanzi. Egli individua aspetti vitali dell’esperienza considerati negativi o addirittura trascurati e li inserisce in una nuova storia (utilizzandoli quali utili risorse).
Sempre White (1992) utilizza alcune mosse terapeutiche per permettere alla persona di poter prendere distanza dal problema (“l’esternalizzazione dei problemi”)3 e contemporaneamente la persona, che chiede aiuto, diviene esperto del proprio problema (quello che White definisce “knowledge maker”)4 .
E’ quanto viene sottolineato anche nel suo lavoro con le problematiche legate alla violenza domestica. Al riguardo viene proposta una terapia congiunta, quando l’uomo sia motivato a rinunciare al comportamento violento, che coinvolga la coppia e che possa permettere alla donna di ridefinire e riappropriarsi della propria esperienza e della propria storia nel contesto in cui la stessa è stata cooptata. La terapia congiunta può anche rappresentare, per la donna che voglia interrompere la relazione, la possibilità di prendere maggior coraggio circa un’ipotetica separazione5.
E’ interessante come White scelga, per affrontare le problematiche legate alla violenza, di lavorare con entrambi i coniugi, quando questo sia possibile. Non sempre purtroppo lo è.
Il lavorare “solamente” con la vittima di violenza diviene sfida non solo nei confronti di un’ideologia patriarcale di cui le storie delle donne sono impregnate ma anche sfida a quei racconti che le dipingono passive, fragili, a volte “pazze” e che vanno a confermare la teoria “vittimologica” della violenza secondo la quale è la stessa donna a provocare e a perpetrare l’aggressività del coniuge.
Altro interessante spunto di riflessione viene offerto dal lavoro di Mc Namee, Gergen e al. (1992); nell’affrontare casi di abusi sessuali viene offerto un approccio particolare definito “terapia collaborativa orientata alla soluzione”6 secondo la quale la necessità diviene quella di focalizzare la propria attenzione sul presente e futuro della vittima piuttosto che sul passato e sulla reminescenza di ricordi della stessa. L’orientamento è quindi verso la soluzione e la valorizzazione delle competenze della persona volte a raggiungerla piuttosto che verso i problemi e la patologia.
La terapia orientata alla soluzione si differenzia da altri tipi di approcci tradizionali per alcune caratteristiche, interessanti perché spendibili all’interno di percorsi con vittime non solo di abusi sessuali ma anche di percosse e/o maltrattamenti:
Il cliente ed il terapeuta sono esperti in egual misura in differenti aree di conoscenza (modello collaborativo);
Il cliente viene visto come sicuramente influenzato ma non determinato dalla sua storia di abuso, e possiede risorse e capacità (modello delle risorse)7;
Gli obiettivi sono unici per ogni persona e non comportano necessariamente catarsi e ricordo;
Vi è riconoscimento della sofferenza ma al tempo stesso valorizzazione ed apertura di nuove possibilità (cambiamento);
L’orientamento è al presente-futuro;
L’orientamento è alla soluzione;
Durata variabile ed individualizzata del trattamento;
Si propongono conversazioni centrate sulla fiducia e sull’azione (no al biasimo e alla delegittimazione).
Nello specifico secondo la terapia collaborativa orientata alla soluzione in caso di abuso è bene individuare e sfruttare quelle abilità che la persona ha utilizzato per fronteggiare la situazione di abuso, trasformando gli obblighi in risorse; è importante cercare (come già evidenziato) risorse e potenzialità, sottolineando il modo in cui la persona ha avuto successo ed è riuscita sopravvivere da allora (dall’episodio dell’abuso) ed individuando sue abilità attuali anche in altre aree. Infine diviene necessario evitare di trasmettere il messaggio che la persona è “merce avariata” perché oramai “determinata” da ciò che ha subito.3 l’esteriorizzazione dei problemi è una mossa terapeutica che coinvolge sia il piano semantico che quello comportamentale; congelare una definizione, ridefinire, cambiare punto di osservazione per permettere alla persona di distaccarsi dal problema come se lo stesso avesse vita propria da una parte e agire contro, interrompere comportamenti ed abitudini per far sentire la stessa persona in grado di controllare la propria vita, più libera, più forte.
4 Come dice lo stesso White , un creatore di conoscenza diventa un fruitore di conoscenza; è importante quindi puntualizzare il ruolo attivo degli individui, anche nel mantenimento dei loro problemi.
5 White, nel descrivere tale proposta terapeutica, non manca di considerare le implicazioni che un’ideologia patriarcale può avere e quindi le idee dell’uomo circa il ruolo della donna e come tali idee possano contaminare il “sentire” ed il “sentirsi” di quest’ultima. La terapia congiunta diviene una sfida a tale tipo di ideologia.
6 Per maggiori approfondimenti vedi O’ Hanlon, B., Weiner- Davis, M., (1988), In Search of Solutions: a New Direction in Psycotherapy. Norton, New York.
7 E’ ciò che, con il presente lavoro, cerco di sottolineare e descrivere attraverso la metafora dell’integrità dell’anima della vittima.