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Jerome Bruner. Biografia
Nasce il 1° ottobre 1915 a New York, consegue il dottorato in psicologia alla harvard University nel 1941, dove dal 1965 è professore di psicologia.
I primi studi, durante la seconda guerra mondiale, vennero condotti sulla psicologia sociale dei comportamenti di gruppo, sulla propaganda, sui pregiudizi e sugli atteggiamenti dell’opinione pubblica americana di fronte ai problemi della guerra e del dopoguerra, contemporanee e successive sono state le ricerche sul processo percettivo e sull’influenza dei fattori sociali.
Bruner, in opposizione ai comportamentisti, diede inizio ad un nuovo indirizzo noto come new look on percetion che sosteneva, tra l’altro, la continuità tra l’attività percettiva e quella concettuale.
Questi studi lo indussero ad apprezzare le idee e il lavoro di Maria Montessori, unica studiosa all’epoca che aveva compreso il valore della manipolazione di materiale strutturato per lo sviluppo logico.
Il 1959 costituisce l’anno della svolta verso i problemi educativi, pedagogici e scolastici.
In quell’anno, promossa dall’accademia nazionale delle scienze, si tenne a Woods Hole una Conferenza sull’Educazione dove, sotto la presidenza di Bruner trentacinque tra scienziati, psicologi e pedagogisti discussero sul modo di perfezionare l’educazione e i metodi didattici nella scuola primaria e secondaria. I risultati furono raccolti nel volume The process of Education (1960) tradotto in Italia con il significativo titolo Il processo educativo. Dopo Dewey (1966).
Durante gli anni ’60 Bruner ha sviluppato studi e ricerche sui processi di apprendimento, sui programmi e sui curricoli scolastici. I risultati sono apparsi nei libri Verso una teoria dell’istruzione (1966), Il conoscere, saggi per la mano sinistra (1968), Studi sullo sviluppo cognitivo (1966, trad. it. 1968).
Le idee sviluppate da Bruner in quel periodo sui processi di apprendimento e di insegnamento, sui contenuti dell’insegnamento e la struttura dei programmi scolastici, sui modi e gli strumenti dell’insegnamento, ebbero grande diffusione nel mondo; anche nel nostro Paese le idee di Bruner costituirono un punto di riferimento costante per la revisione dei programmi di studio e dei metodi d’insegnamento.
Ma, come lo stesso Bruner riconosce nella prefazione di La cultura dell’educazione, “furono la scoperta della povertà ed il movimento dei diritti civili a ridestare molti di noi dal superficiale compiacimento per la riforma dell’educazione”.
La scoperta dell’impatto della povertà, del razzismo e dell’emarginazione sulla vita mentale e sullo sviluppo dei bambini indirizzarono le ricerche Bruner verso lo studio dell’influenza della cultura sul modo in cui i bambini affrontavano l’apprendimento scolastico. Bruner ha focalizzato la sua attenzione sull’attività intellettuale del bambino che apprende ed usa, ancora molto piccolo, la lingua materna e sull’incidenza del linguaggio sullo sviluppo della mente. Il linguaggio verbale, prodotto culturale per eccellenza, introduce il bambino nei modi di ragionare (che spesso coincidono con i “modi del dire”) caratteristici della sua cultura di appartenenza: non solo lo sviluppo linguistico è strettamente connesso allo sviluppo intellettuale, ma il linguaggio verbale “marca” lo sviluppo del soggetto secondo la “cultura” di cui è espressione (Il linguaggio del bambino, trad. it. 1986).
A partire da questi studi Bruner approda ad una nuova idea della mente e del suo sviluppo: le proprietà distintive della vita psichica sono da ricercarsi nella vita sociale e culturale delle persone, nei loro tentativi di costruire percezioni e resoconti dell’esperienza socialmente condivisibili.
Intenzionalità, intersoggettività per la negoziazione del significato sono gli snodi fondamentali dello sviluppo della mente ed al tempo stesso i punti di riferimento per un’educazione che voglia sostenerlo. I modelli privilegiati per l’esperienza e la comprensione sono ricavati dai racconti messi a disposizione dalla cultura, dalle storie che si possono raccontare e che sono utili per collegare eventi in forma comprensibile. Tuttavia, mentre per altri studiosi le narrazioni sono ricostruzioni a posteriori dell’esperienza, per Bruner esse forniscono il tessuto dell’esperienza, cioè i format e gli schemi dell’esperienza stessa. Sono fondamentali per l’atto della vera e propria costruzione di significato (D. Olson).
I risultati di queste ricerche sono raccolti nei testi La mente a più dimensioni (1986), La ricerca del significato (1992), La cultura dell’educazione (1996).
Queste opere ci mostrano il Bruner di fine secolo che, lungi dal ripiegarsi su se stesso appagato del proprio lavoro e del proprio successo, continua ad imporsi come fertile fucina di idee per gli psicologi e gli educatori del nuovo millennio (M. Groppo).
Bruner nasce il 1° ottobre 1915 a New York e consegue il dottorato in psicologia alla Harvard University nel 1941, dove dal 1965 è professore di psicologia.
Durante la seconda guerra mondiale, conduce i primi studi sulla psicologia sociale dei comportamenti di gruppo, dirigendo la sua attenzione verso gli atteggiamenti e i pregiudizi dell’opinione pubblica americana di fronte ai problemi causati della guerra e alle incertezze del dopoguerra.
Dà inizio ad un nuovo indirizzo noto come new look on percetion che sostiene la continuità tra l’attività percettiva e quella concettuale, opponendosi in questo modo alle teorie dei comportamentismi ma avvicinandosi alle idee e al lavoro di Montessori, unica studiosa all’epoca che aveva compreso il valore della manipolazione di materiale strutturato per lo sviluppo logico.
Le ricerche sviluppate da Bruner durante gli anni ’60, sui processi di apprendimento, sui contenuti, sui modi e gli strumenti dell’insegnamento, ebbero grande diffusione nel mondo ma, come lo stesso Bruner riconosce nella prefazione di La cultura dell’educazione, “furono la scoperta della povertà ed il movimento dei diritti civili a ridestare molti di noi dal superficiale compiacimento per la riforma dell’educazione”.
L’ impatto con la povertà, l’emarginazione sulla vita mentale e sullo sviluppo dei bambini indirizzano le sue ricerche verso lo studio dell’influenza della cultura sul modo in cui i bambini affrontano l’apprendimento scolastico.
Bruner focalizza la sua attenzione sull’apprendimento e sull’uso del linguaggio e sulla incidenza di quest’ultimo sullo sviluppo della mente. Il linguaggio verbale, introduce il bambino nei modi di ragionare (che spesso coincidono con i “modi del dire”) caratteristici della sua cultura di appartenenza. E se è vero che la cultura è creazione dell’uomo, è ugualmente vero che essa plasma la mente. L’attività mentale non è solitaria, è invece vissuta con gli altri, fatta per essere comunicata e sostenuta da codici culturali. Grazie a questi studi Bruner approda ad una nuova idea della mente e del suo sviluppo: le proprietà distintive della vita psichica sono da ricercarsi nella vita sociale e culturale delle persone, nei loro tentativi di costruire percezioni e resoconti dell’esperienza socialmente condivisibili. Intenzionalità, intersoggettività per la negoziazione del significato sono gli snodi fondamentali dello sviluppo della mente ed al tempo stesso i punti di riferimento per un’educazione che voglia sostenerlo.
L’evoluzione della ricerca e il respiro interdisciplinare dei suoi studi fanno di Bruner una fertile fucina di idee per gli psicologi e gli educatori del nuovo millennio
Bruner consegue il dottorato in psicologia alla Harvard University nel 1941, dove dal 1965 è professore di psicologia. Nel 1959, si tenne a Woods Hole una Conferenza sull’Educazione dove, sotto la presidenza di Bruner vennero discusse nuove modalità per perfezionare l’educazione e i metodi didattici. I risultati furono raccolti nel volumeThe process of Education (1960), tradotto in Italia con il titoloIl processo educativo. Dopo Dewey(1966), in breve tempo le riflessioni dell’autore di New York si diffusero nel mondo divenendo un punto di riferimento per la revisione dei programmi di studio e dei metodi d’insegnamento.
Gli studi successivi si rivolsero sull’impatto della povertà, dell’emarginazione e delle culture di appartenenza sul modo in cui i bambini affrontavano l’apprendimento scolastico. Bruner ha focalizzato la sua attenzione sul linguaggio verbale, inteso come prodotto culturale per eccellenza, che introduce il bambino nei modi di ragionare caratteristici della sua cultura di appartenenza. Lo sviluppo linguistico è strettamente connesso allo sviluppo intellettuale ed il linguaggio verbale “marca” lo sviluppo del soggetto secondo la “cultura” di cui è espressione (Il linguaggio del bambino, trad. it. 1986). A partire da questi studi Bruner approda ad una nuova idea della mente e del suo sviluppo: le proprietà distintive della vita psichica sono da ricercarsi nella vita sociale e culturale delle persone, nei loro tentativi di costruire percezioni e resoconti dell’esperienza socialmente condivisibili. Intenzionalità, intersoggettività per la negoziazione del significato sono gli snodi fondamentali dello sviluppo della mente ed al tempo stesso i punti di riferimento per un’educazione che voglia sostenerlo. I modelli privilegiati per l’esperienza e la comprensione sono ricavati dai racconti messi a disposizione dalla cultura, dalle storie che si possono raccontare e che sono utili per collegare eventi in forma comprensibile. Le narrazioni forniscono il tessuto dell’esperienza e sono necessarie per la costruzione dei significati (D. Olson).