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Psicologia e Postmodernità
1. Post-modernismo
"L´uomo post-moderno ha smesso di aspettare Godot" (Kvale 1992, pag 38)
Perduta la fiducia illuministica e positivistica della scienza, la crescita della conoscenza non è più vista come lineare, ma discontinua, eterogenea nei linguaggi e pluralistica nelle concezioni. La scienza stessa diviene una struttura immaginaria più simile a una saga novellistica che a una progressione lineare (Varela, 1987). Si è perso l´homme de la nature et de la veritè roussoviano, il senso della vita come estrazione di una qualche radice quadrata (Dostoevskij, pag 50). La realtà non si rispecchia nella mente dello scienziato (Rorty, 1979) né nella scienza; le onnicomprensive interpretazioni della realtà ontologicamente monolitica non hanno più forza conoscitiva né descrittiva. La cultura e la scienza divengono narrazioni. "L'uomo postmoderno ha smesso di cercare Godot" (Kvale 1992, pag. 38), ha smesso di cercare una spiegazione univoca e assoluta della realtà, un modello universale, per guardare il mondo come è nella sua dimensione spazio-temporale, per guardare il particolare dove prima si cercava l´universale.
La psicologia post-moderna si pone in antitesi alla psicologia sperimentale di stampo illuministico-positivista che si pone come scopo le formulazioni di leggi che consentano la predizione e, attraverso essa, il controllo del comportamento (Skinner 1938). Abbandona la concezione di un Io Universale in favore della molteplicità, che è culturale e sociale; abbandona l’epistemologia rappresentazionista del cognitivismo, in favore della "mente incarnata" (Merleau-Ponty 1963, Varela 1987, Armezzani 2005). Viene restituito al pensare umano lo "spessore" (Jaspers 1935) che rifiuta la riduzione della complessità; la mente diviene "strumento di interazione personale all'interno di un contesto sempre storicamente marcato" (Mecacci 1999, pag. VII).
I sistemi umani sono, secondo la prospettiva post-moderna, sistemi linguistici, generatori di linguaggio e di significato: un sistema socio-culturale è il prodotto della comunicazione sociale. "Nulla è reale, se non vi è accordo sociale sul fatto che lo sia" (Gergen 1988, pag. 8): è la narrazione che determina la conoscenza-interpretazione della realtà. Il significato è socialmente costruito: non vi è comprensione senza azione comunicativa, senza un dialogo generatore di significato all’interno del sistema per il quale tale comunicazione ha rilevanza (Andreson, Goolishian 1992, pag. 41-42). "La realtà che l'uomo conosce nasce dalla comunicazione. Egli impara a scorgere diversi oggetti e ad attribuirvi senso cogliendo messaggi che provengono dall'esterno ed elaborandoli, poi, nel dialogo interiore: il suo mondo è fatto di definizioni, è frutto di costruzioni cui egli stesso partecipa. Gli individui vedono il mondo come hanno appreso a vederlo, confondendo poi ciò che appare da ciò che è" (Perotta, 2005, pag. 10). "Il linguaggio che una persona utilizza è molto personale, contiene metafore [1] accuratamente selezionate. Quando le parole vengono espresse, le parole stesse e tutte le emozioni che vi sono racchiuse vengono trasmesse agli altri attraverso l'atto fisiologico del respirare. Questo atto, che fa parte dell'atto di creare significato, è davvero molto personale. Mette in movimento l'aria e crea un vento che tocca gli altri con le sue parole e le sue emozioni. Chi ascolta non è solo colui che riceve una storia, ma anche colui che, in quanto presente, viene incoraggiato a produrre una storia. E questo produrre è l’atto della costituzione del proprio sé" (Andersen 1992, pag. 87). Il linguaggio, la narrazione di una persona su sé e sul mondo contribuisce al suo essere quello che è (Gergen 1985, 1989, Andersen 1992).
Ognuno appartiene ad una tradizione che rappresenta le relazioni di senso attraverso cui ogni cosa viene definita; i paradigmi assunti come validi da una comunità sono i motori della costruzione di senso della realtà, che non è cosa data, ontologicamente predefinita, cui la scienza possa giungere attraverso progressive approssimazioni, ma è un significato condiviso: i concetti della scienza sono prodotti storici, ogni narrazione è co-costruzione sociale di significati con effetti pratici nella vita quotidiana [2]. Le storie sono i prodotti delle relazioni umane e da esse e all'interno di esse acquistano senso. "Non esiste una incontrovertibile verità sociale, solo storie sul mondo che raccontiamo a noi stessi e agli altri" (Hoffman 1992, pag. 33). La nostra stessa possibilità di descrizione è limitata dal sistema linguistico cui apparteniamo, è il prodotto di convenzioni verbali condivise (Marzari 1992, pag 17). "I teorici della costruzione sociale postulano che le idee, i concetti e i ricordi abbiano origine nell'interscambio sociale e vengano mediati attraverso il linguaggio" (Hoffman 1992, pag. 21) e quindi non possano essere conosciuti con certezza oggettiva. Il senso di sé, o narrazione, non è un elemento della narrazione da interpretare, è il nostro parlare con gli altri. "Noi riveliamo noi stessi in ogni momento attraverso la narrativa che costruiamo con gli altri" (Lax 1992, pag. 92-93). "La nostra capacità di creare insieme significati, oggi, dipende da una storia. Dobbiamo a specifiche tradizioni [3] di coordinazione le nostre capacità di innamorarci, di difendere una causa giusta, o di provare piacere per la crescita dei nostri figli" pur non essendo noi "determinati da queste relazioni passate" (Gergen 1988, pag. 30).
Bachtin (1963) nella sua analisi delle opere di Dostoevskij insiste sull'impossibilità della parola di essere esternamente oggettiva, una parola giudizio, una parola sull'oggetto, in quanto la parala è allocutoria, "parlare significa rivolgersi a qualcuno; parlare di sé significa rivolgersi con la propria parola a se stesso, parlare di un altro significa rivolgersi a un altro, parlare del mondo rivolgersi al mondo. […] La parola non conosce l'oggetto al di fuori del rivolgersi all'oggetto" (pag. 311-312). L'uomo stesso non può essere fatto oggetto di una analisi oggettiva; scoprire l'uomo significa raffigurare il rapporto comunicativo di lui con l'altro, la relazione comunicativa e l'interazione reciproca: "non è possibile impadronirsi dell'uomo interiore, osservarlo e comprenderlo, se se ne fa oggetto di analisi indifferente e neutrale; non si può impadronirsene nemmeno se ci si fonde con lui, se si penetra in lui col sentimento. No, a lui ci si può accostare e lo si può scoprire – o meglio, indurlo a rivelarsi – solo comunicando con lui, dialogicamente" (pag. 331). Il dialogo è azione; attraverso il dialogo "l'uomo non si manifesta all'esterno, ma diviene per la prima volta ciò che è" per gli altri e per sé. "Essere significa dialogare reciprocamente" (pag. 331). "Una sola voce non porta a termine nulla e nulla decide. Due voci sono il minimum della vita, il minimum dell'essere" (pag. 332). Mead (1934) pone l'accento sull'importanza dell'altro in quanto referente di ogni gesto e parola: il comportamento diviene dotato di significato e scopo in quanto rivolto ad un Altro assunto a controllo dell'azione che si sta per compiere. Attraverso l'interiorizzazione di simboli linguistici, di giudizi di valore e degli schemi interpretativi dell'Altro - gruppo di riferimento – si ha la conoscenza di sé nelle sue diverse categorie (propriocettiva e dimorfica, simbolica e comportamentale).
Gli stessi metodi di ricerca riflettono gli assunti e i valori della comunità (Gergen, 1988): non rispecchiano la realtà, ma la creano. Nessuna verità locale è dunque Verità Universale; non esistono strutture universali, ma una pluralità di idee sul mondo [4] (Maturana, Varela 1987); "la realtà esiste in quanto pensata, costruita da individui e gruppi sociali nel proprio contesto storicamente e socialmente determinato" (Mecacci 1999, pag. 77). All’interno di una tradizione tuttavia le affermazioni di verità rimangono essenziali e utili a livello funzionale-pragmatico: le idee costruzionistiche inferiscono, cioé, alla metacomprensione, intendono comprendere le comprensioni per generare la consapevolezza di nuove possibilità, l'orientamento verso il significato e la conoscenza."Nell'essere umano ontologia ed epistemologia non possono essere separate: le concezioni del mondo determinano il modo di vederlo e di agirvi, e questo modo di sentire e agire determina le convinzioni sulla natura del mondo; l'uomo è quindi legato in una trama di premesse epistemologiche ed ontologiche che a prescindere dalla loro verità e falsità assumono per lui carattere di parziale autoconvalida" (Bateson 1972, pag. 346)
2. Costruttivismo, costruzionismo e interazionismo simbolico
"Se gli uomini definiscono certe situazioni come reali, esse sono reali nelle loro conseguenze"
Thomas , Thomas 1928"La psicologia postmodernista abbraccia l'ermeneutica, il costruzionismo sociale, il pragmatismo [5], ponendo come sue idee centrali la complessità e la pluralità della conoscenza, il rifiuto dell'oggettivismo e del naturalismo e l'accettazione di una epistemologia strumentalista. […] Nell'orizzonte definito dalla psicologia postmodernista è possibile collocare teorie quali il costruttivismo, il costruzionismo sociale e l'interazionismo simbolico" (Fasola 2005, pag. 6)
2.1 Costruttivismo
"Il costruttivismo radicale (Von Glaeserfeld 1995) fa riferimento a una posizione filosofica secondo cui la realtà non è pre-data alla conoscenza, non si trova esternamente a disposizione della nostra comprensione, ma è costruita dal soggetto. Ciò significa che nessuna osservazione può considerarsi obiettiva e indipendente dal soggetto che conosce. Ogni descrizione è autoreferenziale e riflette sempre l'ordinamento imposto alla realtà del sistema conoscitivo che la esprime" (Fasola 2005, pag. 7).
2.2. Costruzionismo
"Il costruzionismo sociale sostiene l'idea che il soggetto costruisca la realtà assieme agli altri individui, spostando l'attenzione dalle rappresentazioni mentali al linguaggio, ai processi conversazionali attraverso i quali gli individui costruiscono i propri mondi, intesi come mondi condivisi" (Fasola 2005, pag. 7).
2.3 Interazionismo simbolico
"Per il costruzionista le nostre azioni non sono vincolate da nulla di ciò che è accettato tradizionalmente come vero, razionale o giusto. Si apre, così, di fronte a noi, un orizzonte assai vasto di possibilità, un infinito invito all'innovazione. [….] Mentre dialoghiamo, ascoltiamo nuove voci, solleviamo problemi, ponderiamo metafore alternative e ci muoviamo ai margini della razionalità, noi superiamo le soglie convenzionali e creiamo nuovi mondi di significato" (Gergen 1988, pag. 10).
L'interazionismo simbolico parte dall'assunto che il comportamento non è dato da forze esterne o interne al soggetto che agisce, ma da una loro interpretazione cosciente e socialmente derivata da stimoli interni ed esterni (Salvini 1981). Corrente psicologica, ma anche filosofica e sociologica, trova le sue basi negli studi di William James (1890), Charles Cooley (1902), William Thomas (1909), John Dewey (1922) e più precisa formulazione in Gorge Mead (1934) e successivamente in Herbert Blumer (1969).
Blumer delinea le premesse che possono essere considerate alla base della teoria dell'interazionismo simbolico: gli esseri umani si comportano verso le cose sulla base dei significati che le cose hanno per loro, significati che sono il prodotto dell'interazione sociale che avviene nella società umana e vengono modificati e manipolati attraverso un processo interpretativo messo in atto da ogni individuo quando entra in rapporto con i segni che incontra (Meltzer, Petras, Reynolds 1975). Estendendo queste premesse (Salvini 1981) si può sostenere che la persona è prodotto di un'interazione, che il sé è possibile solo per un essere che divenga oggetto di se stesso, caratteristica ottenibile solo nella società e per mezzo del linguaggio, che il comportamento umano non è predeterminato quanto costruito attraverso continui processi interattivi e che si apprende il simbolo significante quando si condivide con qualcun altro un segno che si riferisce ad una comune esperienza in atto (Zanette, Fasola, Zanellato 2004).
"L'uomo non è dotato, come gli altri animali, di un corredo istintuale in grado di guidarlo nell'affrontare la realtà. Egli riesce a sopravvivere e a muoversi nel mondo soltanto grazie alla sua capacità di utilizzare simboli, di attribuire significato agli oggetti e di progettare le proprie azioni. Prima di reagire agli stimoli, l'individuo definisce la situazione in cui si trova; dialogando con se stesso egli l'interpreta e la valuta. Gioia, dispiacere tranquillità, timore non scaturiscono direttamente dalle circostanze, ma sono stati d'animo legati al fatto che siamo consapevoli di esse e vi attribuiamo significato" (Perrotta 2005, pag. 29)3. Applicazioni professionali
Le teorie terapeutiche sviluppatesi all'interno della prospettiva modernista, che vuole e ritiene possibile giungere ad un sapere sistematico ed oggettivo inteso come descrizione di una realtà ontologicamente data e determinata, hanno assunti espliciti e aprioristici - giustificati da un presunto valore scientifico - riguardanti le cause delle patologie e la loro localizzazione all'interno dell’individuo e gli strumenti con cui i problemi si possono diagnosticare ed eliminare (Mc Namee, Gergen 1992).
Il presupposto sotteso è l'inferiorità del cliente, non in grado di decifrare o comprendere la realtà, rispetto al terapeuta esperto che offre al cliente una realtà, una narrativa alternativa da sostituire alla propria. Gli approcci modernisti alla terapia appaiono statici nelle loro formulazioni narrative in quanto partono da una narrativa a priori e decontestualizzata. Ugualmente determinata e aprioristica è l'idea precisa del buon individuo ben funzionante, prospettiva secondo la quale il caso singolo è conferma della Norma, e la conseguente immagine di una patologia, dell'individuo e nell'individuo, che ne blocca il corretto funzionamento e lo trasforma in errore statistico di devianza.
A differenza che nella psicologia moderna gli psicologi post-moderni:
- non hanno un comune oggetto di ricerca dato per sempre: l'oggetto della ricerca é una costruzione storica, veicolato dal linguaggio, influenzato dai valori e dal contesto storico sociale del ricercatore;
- non ricercano leggi universali;
- non utilizzano il metodo sperimentale;
- riconoscono i limiti e la contingenza del suo operare hic et nunc.
Non solo è negata l’idea di una verità unica, ma è posta in dubbio la stessa oggettività nella ricerca sociale. Il sé non possiede una irriducibile realtà interna rappresentata da concetti come cognizioni o emozioni, ma è co-costruzione sociale. Non esiste, né nell’uomo né in un qualunque gruppo umano, un percorso di sviluppo predeterminato, lineare e ottimale. Le emozioni non esistono dentro le persone come tratti distinti o stati (Harrè, 1986): sono una delle tanti parti della complessa rete comunicativa tra le persone.
Se la realtà è costruita socialmente il terapista non analizza una situazione a partire dal proprio modello teorico, ma, a partire da un modello teorico, analizza se stesso che costruisce la situazione che osserva (Fruggeri 1998; Fruggeri, Matteini 1988). "Le strategie terapeutiche devono tener conto degli stili personali e delle diversità tra le tradizioni e i valori (molteplicità di costruzioni della realtà e del bene). Le stesse tradizioni terapeutiche sono depositi di significato culturale storicamente e socialmente contestualizzato (Gergen 1988, pag. 42).
"Quelli che si rivolgono a noi in momenti difficili possono riuscire a superare i vincoli imposti dal loro stesso affidarsi ad un certo repertorio di significati ed a liberarsi della fatica che deriva dall'imporre le proprie credenze a se stessi e agli altri. Per alcuni emergeranno con chiarezza nuove soluzioni ai problemi; per altri si genererà un repertorio di significati narrativi più ricco. Per altri ancora si svilupperà un nuovo atteggiamento che lascia presagire quella tolleranza dell'incertezza, quella libertà di esperienza che deriva dall'accettazione di una relatività di significato senza vincoli. Per coloro che l'adottano, questo atteggiamento offre la prospettiva di una creativa partecipazione al dispiegarsi senza fine del significato della vita" (Gergen 1992, pag. 190).4. Psicoterapia
La psicoterapia nella prospettiva post-moderna trova espressione nella terapia narrativa o terapia come evento linguistico: "la conversazione terapeutica è una ricerca ed esplorazione congiunta attraverso il dialogo, uno scambio bidirezionale, un intrecciarsi di idee in cui nuovi significati emergono continuamente verso la dis-soluzione del problema e, dunque, la dissoluzione del problema terapeutico. […] Il terapeuta è un osservatore-partecipante e un facilitatore-partecipante nella conversazione terapeutica" (Andreson, Goolishian 1992, pag. 41-42). "Le persone hanno una memoria immaginativa. Il passato viene recuperato in modo tale da suggerire l'esistenza di innumerevoli nuove possibilità, così da costruire nuovi scenari e una nuova storia. L'immaginazione si costituisce attraverso il potere inventivo del linguaggio nel processo attivo della conversazione: la ricerca del non già detto" (Andreson, Goolishian 1992, pag. 52; Derrida 1976, 1978). E' una terapia non esperta: "il terapeuta diventa parte del circuito di significato, o circuito ermeneutico" (Andreson, Goolishian 1992, pag. 39); la terapia diviene "esperienza partecipativa convalidata dall´espressione di molteplici voci, piuttosto che dalla voce di un esperto" (Hoffman 1992, pag. 30). Non viene offerta al cliente una soluzione precostituita, ma gli viene insegnato ad "imparare a cambiare il circolo chiuso di comportamenti e significati che ha prodotto il problema secondo i modi resi possibili dalla sua organizzazione, storia, identità" (Marzari 1991, pag. 76).
Vi è un assoluto scetticismo rispetto alla possibile applicazione alle scienze umane dei metodi tipici delle scienze della natura; si contrappone approccio nomotetico (coferente delle leggi) e approccio idiografico (raffigurante il particolare) (cfr. Windelband, 1894) [6], orizzonte epistemico meccanomorfico e orizzonte epistemico antropomorfico, uso di metodi quantitativi e uso di metodi qualitativi - Autocaratterizzazione (Kelly, 1955), Griglie di repertorio (Kelly, 1955), Twenty Statement test (Khun, Mc Partland, 1954).
La possibilità di interpretare e produrre ipotesi a partire dai racconti di chi parla prevede precisi presupposti teorici. "L'oggetto di studio della psicologia deve prendere in considerazione i discorsi, le significazioni, le soggettività e i posizionamenti, perché è in queste cose che i fenomeni psicologici esistono realmente (Harré, Gilet 1994, pag. 25). "Si ha uno scambio tra significati condivisi ed il carattere psicologico e personale di una situazione. Agli eventi e agli oggetti è attribuito un significato attraverso i discorsi in cui essi appaiono e queste significazioni sorgono da, e costituiscono, la soggettività di un individuo in relazione a ciò che è espresso. […] Immettersi nelle trame narrative è il modo che l'uomo ha per evitare l'anomia, cioè la perdita di senso e di significato, di regole interpretative e di riferimenti di valore, di ruoli e di attribuzioni di identità. […] Solo attraverso la narrazione e si può generare un'organizzazione di senso e di significato a cui ricondurre l'esperienza che ciascun mondo, soggettivamente vero, produce come artefatto psicologico (Salvini in Vezzani 1999)" (Macoratti 2005, pag. 145-147).
Riferimenti Bibliografici IncompletiAndersen T. (1992), Riflessioni sul riflettere sulle famiglie, in Mc Namee, Gegren K. (1992)
Anderson H., Goolishian H. (1992), Il cliente è l'esperto: il non sapere come approccio terapeutico, in Mc Namee, Gergen K. (1992)
Armezzani M. (2005), Posizioni critiche globali nei confronti del cognitivismo e delle scienze naturali in Marhaba S. (2005)
Bachtin M.M. (1968), Problemi poetici in Dostoevskij, Einaudi, Torino 1980
Dostoevskij F. (1864), memorie del sottosuolo, Monadori, Milano 1987
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Fasola C. (2005), L'identità. L'altro come coscienza di sé, 2005, Utet, Torino
Foucault M. (1969), L'archeologia del sapere, Rizzoli, Milano 1971
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Inghilleri M., Fasola C. (2005), La dimensione storica e sociale della psicoterapia: dalla cura del sé ai cambiamenti nell'identità personale, in C. Fasola (2005)
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Khun M.H., Mc Partland T.S. (1954), An Empirical Investigation of Self Attitudes, in "American Sociological Rewiew", 19, pp. 68-76
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Macoratti G. (2005), Transessuali e transgender: la costruzione di un'identità negata, in C. Fasola (2005)
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Note[1] "Una forza peculiare della metafora è quella di poter comunicare l'essenziale senza eccessive semplificazioni, preservandone la complessità attraverso la percezione di modelli familiari di equivalente complessità. […] Realizza il ri-orientaento di un dato sistema di categorie, […] un movimento semantico" (Tibaldi 2005, pag. 137). Si ricordi l'etimologia del termine dal greco kata ferw, porto altrove.
In ambito letterario interessante la definizione che dà della metafora Emanuele Tesauro (1591-1675) nel Trattato della metafora. Idea dell’arguta e ingegnosa elocuzione che serve a tutta l’arte oratoria, lapidaria e simbolica esaminata co’ principii del divino Aristotile (in Cannocchiale aristotelico, 1670): “il più ingegnoso e acuto, il più pellegrino e mirabile, il più gioviale e giovevole, il più fecondo e fecondo parto dell’umano intelletto” la metafora lega “insieme le remote e separate nozioni degli propositi obietti […]: perciò che, traendo la mente, non men che la parola, da un genere all’altro, esprime un concetto per mezzo di un altro molto diverso. […] Costipa in una voce sola più di un concetto, pingendone l’uno con li colori di un altro […] e quasi in miracoloso modo ti fa mirar molti obietti per un istraforo di prospettiva” in modo che “il vero vi traspaia come per un velo, acciochè da quel che si dice velocemente tu indenda quel che si tace; e in quello imparamento veloce è posta la vera essenza della metafora”. La metafora serve così alla comprensione “però che un obietto rattamente illuminato dall’altro ti vibra come un lampo nell’intelletto”.
Sull’utilizzo delle metafore nella costruzione dei discorsi si veda Leary (1984), Heiddeger (1962), Gadamer (Warnke, 1987), Lax (1992), Bateson (1979).
[2] Giochi linguistici di Wittgenstein (1953): le parole non traggono il loro significato dalla loro capacità di descrivere oggettivamente la realtà, ma dall'uso nell'interscambio sociale, nei giochi di vita.
[4] "Dalle critiche di Popper al neopositivismo si è sviluppata in filosofia una riflessione sui significati della scienza che ha condotto all'adozione di una prospettiva storica. Questa si è declinata in un maggior interesse per la descrizione della natura dei contesti in cui si svolge la ricerca scientifica e per i modi in cui gli scienziati decidono quale teorie accettare e quali obiettivi perseguire nella ricerca. Si può attribuire a Karl Mannheim (1936) il merito di avere riconosciuto come la conoscenza si formi necessariamente in particolari situazioni storiche e sociali e sia quindi plasmata a sua volta da tali contesti" (Inghilleri, Fasola, 2005, pag. 30). Si veda: Kuhn (1962), Bartley (1962), Lakatos (1976), Laudan (1977), Feyerabend (1975).
[5] Pragmatismo
1877 Pierce Ch. S., La formazione della credenza
Funzione del pensiero è imporre una regola d’azione: il concetto di un oggetto si identifica, senza residui, con i suoi effetti pratici concepibili.
L’intelletto umano in base al successo o meno delle sue azioni conoscitive sviluppa un insieme di credenze, un abito, che, utilizzato come orientamento, costituisce il modello di comportamento. Le nostre credenze arrivano, attraverso successive correzioni, a un grado di verità che non è certezza teorica, ma metodo operativo soddisfacente per il miglioramento delle condizioni del rapporto tra il soggetto conoscente e la realtà con cui interagisce (Boniolo, Vitali 2003).
1890 James W., Principi di psicologia
1898 James W., Concezione filosofica e risultati pratici
1907 James W., Pragmatismo
Vero è ciò che dà luogo a conseguenze pratiche soddisfacenti, relativamente alle esigenze vitali più profonde degli individui. Il fine di ogni azione conoscitiva è un comportamento operativo soddisfacente. Rifiuta la teoria spenceriana della conoscenza come rispecchiamento, rivendicando il valore pratico della fede religiosa (l’universo è migliorabile grazie alla interazione di Dio con gli uomini). La realtà non è oggettiva e immutabile, ma possiede una dimensione determinata dall’azione conoscitiva dell’uomo (Boniolo, Vitali 2003).
1897 Dewey J., Il mio credo pedagogico
1900 Dewey J., Scuola e società
1916 Dewey J., Democrazia ed educazione
Strumentalismo: la realtà non è dato oggettivo, ma consiste nell’interazione tra uomo e natura. Nell’esperienza si formano le idee o previsioni operative. L’esperienza va al di là del mero dato psicologico individuale e diviene patrimonio comune (attivismo, confronto democratico).
1934 Mead G.H., Mente, io e società
1938 Mead G.H., La psicologia dell’atto
La mente non è concepibile “unicamente dal punto di vista dell’organismo umano individuale”, ma è un “fenomeno eminentemente sociale”, frutto dell’interazione e della riflessività.
à Partendo da una concezione dinamica e spontanea dell’intelligenza e della conoscenza, il pragmatismo cerca di svolgere evolutivamente e unitariamente il rapporto organismo-ambiente, soggetto-oggetto, individuo-società: la conoscenza non è atto intuitivo immediato, ma processo interpretativo (Dewey: manipolazione dell’esperienza) .
Viene rifiutato il dualismo cartesiano: il rapporto mente-corpo viene inteso alla luce di un interazionismo dinamico, libero da ogni impaccio metafisico e aprioristico. “La mente e l’io non sono individuali né sostanziali, ma emergono entro il processo mediante il quale organismi viventi stabiliscono rapporti reciproci, dapprima gestuali, poi verbali e concettuali. Il gesto diviene parola, quando è riconosciuto come simbolo, dotato di significato universale, cioè come provocazione consapevole di una determinata risposta. L’esperienza della comunicazione sociale diventa mente o soggetto quando il ruolo dell’altro è interiorizzato, razionalità o persona quanto più l’altro è generalizzato. L’esistenza personale è la continua dialettica del me, espressione del controllo sociale, e dell’io, risposta spontanea e selettiva del soggetto; inscindibile dal contesto sociale esso lo modifica continuamente” (Enciclopedia Garzanti di filosofia).
[6] La dicotomia tra idiografico e nomotetico riprende l´opposizione teorizzata da Dilthey (1883) tra processi di comprensione e processi di spiegazione. Grazie al concetto di campo di Kurt Lewin (1935, 1951) - situazioni concrete, contesto più vasto daistrutture e soggetto, problemi specifici in riferimento a situazioni specifiche, leggi generali - è possibile ipotizzare un superamento di tale antitesi irriducibile dei due metodi, come sembrerebbero dimostrare anche gli studi di Triandis et al. (1984), di Harris (1980) e Previn (1984) e di Mischel (1981). Lamiell, a partire da queste premesse ha introdotto il termine ‘idiotetico’ che sottende l’idea dell’integrazione tra le indagini idiografica e nomotetica, integrazione in grado di offrire una modalità congiunta per lo studio dei fenomeni umani (Fasola, 2005).